In uno Stato di diritto, “il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione deve passare attraverso il rispetto delle regole del giusto processo”. E’ la motivazione con la quale la Cassazione, il 15 luglio scorso, ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro la sospensione del procedimento sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore di Fiumicello torturato e ucciso in Egitto sette anni fa.
Per la Cassazione, che ha disposto nuove ricerche degli imputati ai quali notificare gli atti, la decisione del gup di sospendere il procedimento a carico di quattro agenti dei servizi segreti egiziani è immune da vizi logici e giuridici. Prima di proseguire, dicono i giudici, è necessaria la certezza che i quattro siano a conoscenza del procedimento. Il clamore internazionale e la partecipazione di alcuni di loro al team che collabora con gli inquirenti italiani non sono sufficienti.
Secondo i giudici della Corte suprema il superamento dell’impasse spetta alla politica, ovvero “alle competenti autorità di governo – dicono testualmente i giudici – anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione” che discendono dalle Convenzioni internazionali.