Una “degenerazione” a cui “ben si attaglia il nome di circo mediatico, alla quale stanno prendendo parte attiva anche soggetti che dovrebbero avvertire sia il dovere istituzionale di confrontarsi soltanto con l’autorità giudiziaria, sia la necessità di conformare la propria condotta a un intransigente riserbo, quale segno di rispetto verso la signora Liliana Resinovich”.
E’ il duro commento espresso, in una nota, a proposito dei ‘processi mediatici paralleli’ dal Procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, sulla vicenda della morte della 63enne triestina, scomparsa da casa il 14 dicembre e il cui corpo è stato ritrovato, senza vita, il 5 gennaio nel parco dell’ex ospedale psichiatrico, con la testa avvolta in due sacchetti e il corpo in due sacchi.
“Spiace dover constatare – prosegue la nota del Procuratore capo – che, accanto alle indagini doverosamente scrupolose che questo ufficio sta conducendo in relazione alla morte di Liliana Resinovich, da qualche tempo si sta svolgendo una serie di ‘processi mediatici paralleli’ su vari social media, nutriti da qualche notizia vera e rilevante e da non poche notizie false o irrilevanti, manipolate da sedicenti esperti e orientate verso risultati non convalidati dagli atti regolarmente acquisiti al fascicolo processuale”.
Per De Nicolo, che da tempo aveva scelto la linea del silenzio, in attesa dei risultati delle indagini, “è appena il caso di rammentare che esclusivamente su questi atti può essere fondata la valutazione dell’Autorità giudiziaria, cui sola, per legge, spetta tale compito”.
La nota del Procuratore fa riferimento a materiali – stralci di una perizia, radiografie, scansioni Tac, immagini Tc postmortem – e ‘supposizioni’ sulla vicenda che stanno circolando in rete, in particolare in due video postati su youtube.
Per la pubblicazione di questi documenti, anche il fratello di Liliana, Sergio Resinovich, che nei giorni scorsi, attraverso i suoi legali, aveva avanzato dubbi sull’ipotesi del suicidio, ha provveduto a sporgere formale querela, per bloccare questa deriva e individuare chi fornisce atti d’indagine a soggetti non deputati ad averne, mancando così anche di rispetto nei confronti della sorella.