Mail e messaggi Whatsapp per pilotare e truccare appalti da decine, se non centinaia di milioni di euro: è una delle ipotesi della Procura della Repubblica di Gorizia che sta indagando su più di 150 gare per lavori pubblici in Friuli Venezia Giulia, Veneto e altre 12 regioni italiane.
L’ipotesi che grandi e piccole imprese, appaltatori e subappaltatori possano aver utilizzato mail e Whatsapp per accordarsi e fare cartello si ricava dai decreti di sequestro firmati dai pm Valentina Bossi e Massimo Lia. Nei decreti i due magistrati scrivono chiaramente che “vi è fondato motivo di ritenere” che si possano trovare “documenti, dati digitali, messaggi di posta elettronica, conversazioni whatsapp… memorizzati su computer, telefoni e altri supporti informatici”.
Di qui la decisione di far perquisire, da oltre 600 uomini della Guardia di Finanza, case, uffici e cantieri in mezza Italia, sottoponendo a indagini un centinaio di persone per reati che vanno dalla turbativa d’asta alla concessione di subappalti in violazione delle legge.
Fra gli indagati anche big dell’imprenditoria italiana, come Paolo Pizzarotti e Marco de Eccher, e dirigenti pubblici, come Enrico Razzini di Autovie Venete.
Netta la difesa dei loro avvocati, come quella degli altri indagati: sono state rispettate le regole e, in questa vicenda, le imprese sono vittime e parte lese. Senza dire che, secondo gli avvocati, “per gare di questi importi è impensabile anche solo astrattamente ipotizzare un accordo criminoso tra cartelli d’imprese”.
Gli stessi legali hanno annunciato per oggi il deposito dei ricorsi al Tribunale del Riesame per la revoca dei sequestri.