Di storie come la sua ce ne sono certamente altre. Vicende di lavoro, passione, tenacia, entusiasmo, fatica, ma anche di così tanti ostacoli, delusioni, frustrazioni che possono condurre al fatidico momento in cui si decide di mollare tutto. Per questo motivo ciò che ci ha raccontato M. L., artigiano che ha cessato la sua attività dopo 12 anni, lo scorso 30 aprile, è la nostra storia di copertina: quella che è paradigmatica delle difficoltà in cui si trovano numerosi piccoli imprenditori e artigiani nel nostro Paese.
La scelta di mantenere l’anonimato è dettata dalla sofferenza ancora cocente “quel capitolo è chiuso, ormai, ma fa ancora male pensare a com’è finita”.
“Sono di Bologna – racconta l’ex imprenditore – e sono arrivato in Friuli per lavoro: ero rappresentante all’Edilfriuli. Lì ho lavorato alcuni anni, ma contemporaneamente, nei fine settimana, in molte occasioni ho dato una mano a uno dei miei più cari amici che ha una ditta di progettazione e montaggio tende. Questa attività ha cominciato a interessarmi sempre più, anche perché riuscivo bene nel lavoro, finché, nel 2007, ho fatto il classico ‘colpo di matto’: mi sono licenziato e ho aperto la mia attività. Le cose sono andate bene fin dall’inizio: sono preciso, puntuale e amavo quello che stavo facendo. Ho iniziato a farmi un nome nell’ambiente, a essere cercato. Sono stato molto gratificato da certe occasioni che ho avuto: ho lavorato in tutto il mondo, dall’Europa agli Emirati arabi, dagli Usa alla Russia, per molti clienti Vip, politici, calciatori, imprenditori, diplomatici. Giravo molto, visitavo e lavoravo in ville e appartamenti spettacolari. Insomma, ero molto soddisfatto. Ma solo dopo mi sono reso conto che sono stato molto ingenuo”.
Il tono di M.L. non lascia adito a dubbi: il suo sguardo si illumina di orgoglio quando racconta quello che ha realizzato, dove è stato, chi ha conosciuto. Ma oggi, nel ricordare quei momenti, a prevalere è l’amarezza.“La mia ingenuità mi ha fatto pensare che, lavorando a livello internazionale, sarei stato al top e non avrei avuto problemi – prosegue -. Invece avrei dovuto rendermi conto di quello che facevano, e fanno tuttora, i miei colleghi: volare basso, compiere un passo alla volta e soprattutto cercare di portare a casa il famoso ‘nero’ che è quello che, alla fine, permette a una piccola impresa di sopravvivere. Tra gli artigiani, al bar, davanti a una birra, ci si chiede una e una sola cosa: ‘quanto nero riesci a fare?’ È solo questo che interessa. Lo fanno tutti, non ho paura di essere smentito. Una chiamata urgente, un piccolo incarico: si propone al cliente quello che sembra uno sconto e in cambio non si emette fattura. E si intascano un po’ di soldi che non compaiono più. Io credevo che sbagliassero loro, i colleghi, che non fossero onesti, invece avevano ragione. Con 100, 150 euro al giorno di ‘nero’ alla fine dell’anno si riesce ad accantonare una somma che regala tranquillità. Invece io, con tutti miei lavori grossi, importanti, all’estero, non ho mai potuto né voluto farlo. E poi i nodi sono arrivati al pettine. Con quello che fatturavo ero spremuto dal Fisco, senza contare che alle tasse vere e proprie bisogna aggiungere tanti altri adempimenti. Non è assolutamente vero che le imposte si pagano solo due volte all’anno. Come sanno bene tutti, ogni mese c’è qualcosa da pagare. Inoltre, quando non ero in trasferta, dopo le ore di normale attività, ogni sera dalle 22 in poi ero obbligato a occuparmi delle incombenze burocratiche e della contabilità. Andavo a dormire verso l’una di notte e la sveglia, il giorno dopo, suonava sempre alle 5.30. il tutto per uno stipendio mensile che era inferiore a quello di mia moglie che è impiegata. Ho pensato anche di trasferirmi oltreconfine, salvo poi capire che non ne valeva veramente la pena. Alla fine io sono arrivato alla frutta. Ci ho pensato a lungo, più di un anno. E ho deciso di chiudere l’attività”.
Adesso la vita di M.L. è totalmente cambiata. È dipendente in una ditta friulana che si occupa di carpenteria e sta ritrovando la serenità, soprattutto famigliare.
“Vedo molto di più le mie figlie, ho meno ansia. Sto meglio”.
Cosa le resta della sua esperienza di imprenditore?
“Il ricordo di tutte le gratificazioni che ho avuto e 20.000 euro di debiti che ho contratto, per pagare le tasse”.