Il diritto d’autore? E’ sacrosanto e va tutelato. Ma… c’è un ma, anzi più di uno, e a sostenerlo sono gli stessi addetti ai lavori. Compresi quelli che si trovano su entrambi i lati della barricata, come Andrea Del Favero, che da 38 anni organizza ‘Folkest’ – il festival musicale più longevo in regione – e di conseguenza ha ormai una certa dimestichezza con i cosiddetti borderò, l’elenco dei brani eseguiti, propri e altrui. Da decenni è però anche attivo come musicista e compositore, in particolare con la band-simbolo del folk revival in regione, La Sedon Salvadie, che ha in repertorio sia brani propri che quelli della tradizione.
‘SOCI’ PIGLIA-TUTTO
“Pochi lo sanno – spiega del Favero – ma la musica di tradizione popolare è di dominio pubblico e quindi nulla è dovuto, anche se capita sempre che qualcuno si ‘sbagli’. Lo scorso anno, per dire, sono dovuto intervenire di persona per far rimborsare un’amministrazione comunale, che aveva messo nel borderò anche questi pezzi e aveva dovuto pagare. Ma sono casi isolati”. Molto più grave, e qui è il musicista e non l’organizzatore a rimetterci, il sistema che distribuisce i proventi in base alle ‘dimensioni’ dell’artista, o giù di lì. “Per spiegare in poche parole – continua Del Favero – la Siae ha gli ‘associati’ e i ‘soci’. I primi sono quelli che, come me fino a qualche anno fa, pagano 150 euro l’anno, in anticipo sulle somme dovute a fine anno per i diritti d’autore. Poi ci sono i soci, gli artisti nazionali che superano un certo fatturato annuo e partecipano alla distribuzione complessiva dei dividendi. Inutile fare nomi: sono gli artisti più conosciuti in Italia, quelli che magari si mettono anche a ‘fare la morale’ agli altri. Per semplificare di più: con questo sistema i più ricchi diventano ancora più ricchi sulle spalle dei più poveri”.
NO BIGLIETTO, NO DIRITTI
Le storture del sistema sono dovute a una struttura elefantiaca che non è ancora entrata nel nuovo millennio (la digitalizzazione dei borderò è stata annunciata, ma ci vorranno anni). Ma anche alla distinzione in categorie, con i cosiddetti ‘concertini’ – quelli non a pagamento in locali o luoghi pubblici – che si rivelano una fregatura a tutto tondo per l’artista. “Se rientri in questa categoria, non paghi la Siae e quindi i diritti d’autore all’artista, che a fine anno vede arrivare tanti soldini in meno. Per i piccoli autori è una perdita secca non da poco, cui va aggiunto il fatto che in tutta Europa l’iscrizione alle società di tutela è gratuita o costa non più di 20-30 euro”. E per fortuna che, grazie anche all’avvento di Assomusica nel 1996, la percentuale dovuta alla Siae sui biglietti d’ingresso è scesa dal 20 al 10% (12% nel caso di classica contemporanea). “Per parlare di questi argomenti, e spiegare come non sia vero che i locali non facciano musica ‘perché poi devi pagare la Siae’, dedicheremo un incontro a Folkest con Andrea Marco Ricci, che il 10 luglio parlerà di diritti a tutti i livelli”.