“Il diavolo sta nei dettagli”, dice un proverbio. “Il diavolo sta nelle attività più banali” verrebbe da aggiungere, perché lavoro, pulizia, sport, shopping – azioni semplici che tutti compiamo quotidianamente – possono trasformarsi in vere e proprie dipendenze. Per alcune persone, infatti, questi elementi si distorcono fino a diventare patologia, a mettere a rischio l’equilibrio fisico, mentale e familiare.
Le dipendenze senza sostanza sono patologie compulsive simili alla tossicodipendenza o alla bulimia, con la caratteristica di non prevedere l’assunzione di nulla di estraneo.
In tutti i casi il disturbo presenta gli stessi sintomi legati a dipendenze più conosciute (come l’assunzione di droghe, tabacco e alcol), vale a dire crisi di astinenza, reazioni incontrollate e desiderio di “averne sempre di più”.
Come tutte le abitudini però, anche dedicarsi alle compere può trasformarsi in un comportamento patologico: la sindrome da acquisto compulsivo, un’autentica dipendenza dallo shopping che può rovinare la vita di chi ne soffre. Un fattore determinante per la sindrome da shopping compulsivo è sicuramente la facilità con cui si accede agli acquisti, anche grazie alla disponibilità online. Sembrerebbe essere stata la sindrome dello shopping compulsivo, ad esempio, ad aver portato anche nella nostra regione alcune persone che ne sono affette ad appropriarsi indebitamente di denaro sul posto di lavoro.
Rolando De Luca, psicoterapeuta e fondatore di Agita, l’associazione con sede a Campoformido per il recupero dei giocatori d’azzardo e delle loro famiglie, punta l’attenzione proprio su questi nuovi ‘demoni’ che tormentano diverse persone.
“Le cosiddette ‘nuove’ dipendenze affliggono soprattutto i giovani – spiega -. Negli ultimi anni mi arrivano molte richieste d’aiuto da parte di adolescenti di 14, 16 e perfino 18 anni, che si ritirano dalla vita sociale, lasciano la scuola, si chiudono in casa e si dedicano solo ai videogiochi, creando delle comunità virtuali. In questi casi il lavoro inizia dai genitori, i quali spesso sono i primi a chiedere un intervento terapeutico, per poi arrivare ai ragazzi”.
“È un fenomeno che rimane sottotraccia, ma che assume dei caratteri progressivi – prosegue De Luca -. Chi ne è affetto è costretto ad aumentare il tempo passato a giocare per trovare soddisfazione, mentre la lontananza dal monitor scatena sintomi psicofisici come irrequietezza, malumore e incapacità di concentrarsi su attività diverse”.
I campanelli d’allarme ci sono, ma spesso rimangono inascoltati.
“Questi ragazzi trascorrono molte ore davanti allo schermo del computer o della consolle, restando svegli anche durante la notte per dedicarsi ai videogiochi. Lo stesso succede con i social network, perché le statistiche dicono che otto adolescenti su dieci sono connessi a un social network e aggiornano continuamente il profilo. Ora non solo gli adolescenti ma anche gli adulti sono a rischio di dipendenza da social network. Andando più in profondità, alla base di tutti questi casi e dipendenze ci sono sempre situazioni familiari complesse. Anche in questo caso – conclude De Luca – il gioco è una fuga da altri problemi, come accade sempre in tutte le dipendenze”.