Non regge la nuova versione diffusa dall’Egitto sulla morte di Giulio Regeni. Le testimonianze della moglie e della sorella del capo del gruppo di rapinatori di turisti stranieri uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia, Tarek Abdel Fatah, negano ogni collegamento con la morte di Giulio Regeni.
Le due donne, dopo la morte di Tarek Abdel Fatah e dei suoi quattro complici, sono state arrestate per favoreggiamento, ma nel corso dell’interrogatorio hanno negato che la banda abbia ucciso l’italiano Giulio Regeni.
Secondo il quotidiano Al Masry Al Youm, che cita fonti vicine all’inchiesta, le donne avrebbero così smentito la Procura generale che ieri aveva collegato la morte dei cinque banditi a quella di Regeni, facendo anche riferimento al rirovamento del borsono del ricercatore friulano con tanto di documenti e telefonino e oggetti personali.
Ennesima verità di comodo
Un’ipotesi che ha scatenato subito sospetti e dubbi. Possibile che a due mesi dalla scomparsa del giovane, poi trovato morto il 3 febbraio, i banditi custodissero ancora gelosamente il borsone e tutto i gli oggetti personali di Regeni? Possibile che non abbiano rienuto più conveniente liberarsene, sapendo che il Governo egiziano stava indagando sulla morte del ricercatore?
Le donne, quindi, smentiscono l’ipotesi che Giulio sia stato ucciso nel corso di una rapina finita male. Le autopsie, almeno quella italiana, parlano di fratture e segni sul corpo di Giulio che difficilmente si possono collegare all’azione di un rapinatore. Regeni è stato torturato. E già una volta il governo egiziano ha cercato di servire all’Italia, sul vassoio d’argento, una veritò preconfezionata, di comodo, che ponesse fine alla vicenda che ha innescato una sorta di crisi diplomatica tra i due Paesi. Subito dopi l 3 febbraio, infatti, il governo egiziano aveva parlato di incidente stradale per Regeni, ma le ferite presenti sul corpo ed evidenti anche a occhio nudo hanno costretto Il Cairo a fare retromarcia. Ieri l’ennesima verità, l’ennesima verità di comodo che fa acqua da tutte le parti.
Ma non è tutto. La moglie di Tarek, infatti, avrebbe spiegato che il borsone rosso di Regeni, che conteneva anche il passaporto e tutti i documenti del giovane, sarebbe finito nella mani del marito soltanto un paio di giorni prima della sparatoria in cui è rimasto ucciso.
Italia sgomenta per una verità costruita ad arte
“Credo che il nostro sgomento sia quello dell’Italia intera, rispetto a infamanti depistaggi che si susseguono in questi giorni. La cosa che ci ha colpito di più è l’insulto, la mancanza di rispetto non solo nei confronti di Giulio ma di tutto il Paese, delle istituzioni, come se potessimo accontentarci di queste menzogne. Allo sgomento si unisce la soddisfazione e la fierezza di essere italiani e di avere il sostegno delle istituzioni, delle tante associazioni umanitarie e soprattutto dei cittadini. Questo per la famiglia di Giulio è molto importante – ha detto l’avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, ai microfoni di Radio 1 Rai “.
I commenti della politica
La governatrice Serracchiani scrive: “Il Governo egiziano si decida a collaborare. Verità chiara e completa sull’assassinio di Giulio #Regeni, non ricostruzioni inverosimili”.
Laura Boldrini, presidente della Camera, ha scritto: “L’ennesima versione dei fatti sull’omicidio di Giulio #Regeni è scoraggiante e getta un’ombra sul rigore delle indagini svolte in Egitto”. Alessandro Di Battista scrive, non senza una vena polemica: “Gentiloni su #Regeni e le innumerevoli versioni egiziane vuoi dire qualcosa o il petrolio è più importante di un nostro cittadino ammazzato?”.
Anche Pippo Civati incalza il governo italiano: “Regeni: giornali di tutte le ispirazioni parlano di “messinscena”, a cui qualcuno aggiunge: “scandalosa”. Il governo italiano come la pensa?”.
Tweetstorm lanciato dalla famiglia Regeni
I famigliari di Regeni, chiusi nel loro silenzio, tramite il profilo social della sorella di Giulio, Irene, hanno fatto sapere che non si arrenderanno mai.
“Ora, per sempre e sempre più forte chiediamo #veritapergiulioregeni.
Non molleremo Giuli, mai – ha scritto Irene Regeni -“.
Anche i giornalisti della redazione de Il Friuli continueranno, come fatto fino a oggi, a chidere #veritapergiulioregeni, rispondendo all’appello lanciato dalla sorella Irene e dai genitori Claudio e Paola.