Era la fine di luglio dello scorso anno quando, a sera, alcune decine di richiedenti asilo furono trasferiti in tempi brevissimi dal Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo in un’operazione mirata a svuotare l’ala dell’ex Cie. Evento legato ai lavori che, di lì a breve, sarebbero poi cominciati per far partire la ristrutturazione, affidata direttamente al Genio Militare, per la riconversione in un Centro permanenza rimpatrio (Cpr), destinato a divenire un prolungamento del Cara che aveva ospitato, nei giorni di ‘massima’ circa settecento persone. I lavori prevedono la creazione di celle, camere di parcellizzazione, videosorveglianza e sbarre. Un po’ come lo era nel 2006 la struttura allora adibita a Centro di permanenza temporanea.
Di fatto i duecento ospiti che, se dovesse essere veramente chiuso, sono attualmente ospitati al Cara non sarebbero automaticamente ospitati all’interno del Cpr, adibito ad accogliere clandestini che attendono l’espulsione o il rimpatrio. Rimane il dubbio, però, in quanto i Cara erano previsti in territori limitrofi ai confini e ad un aeroporto. Gradisca, dunque, resterebbe il luogo ‘perfetto’. Convivranno, dunque, Cara e Cpr? Si tratta di un ‘lascia o raddoppia’ per la città che, negli anni, ha dato molto su questo tema.
Dal punto di vista della sicurezza ci saranno ripercussioni? Chi controllerà la struttura? Secondo Giovanni Sammito, sindacalista del Siulp, sono necessari almeno 50 uomini in più per la sola struttura. Personale che, attualmente, deve giostrarsi tra il servizio volante e quello migratorio. Per non parlare di quello carcerario, che si attiverà nel momento in cui il Cpr sarà aperto. Sono necessarie assunzioni a livello nazionale “per evitare di sguarnire il territorio”. E tuttavia, il problema sta a monte: “Bisogna gestire queste strutture non come ora, cioè nell’ottica dell’emergenza – conclude Sammito – bensì in modo strutturale, ovvero con personale e con una gestione dedicata”.