Dalla sera del 2 maggio 2014, quando Marco Rizzetto, 23 anni di Portogruaro, è rimasto vittima di un tragico incidente, il padre Giorgio non ha smesso di cercare la verità e di chiedere giustizia per la morte del figlio. A distanza di due anni dalla tragedia, Giorgio Rizzetto lancia un appello al giudice della Procura di Pordenone, Piera Binotto, chiedendo che il caso non venga archiviato, assistito da Studio 3A e dal consulente Diego Tiso.
Le circostanze in cui è avvenuto l’incidente sono apparse fin da subito complicate da ricostruire, soprattutto per l’arrivo dei soccorsi a qualche ora dall’accaduto.
“Il caso ha destato profonda eco, anche per le sue sfaccettature, tra cronaca “rosa” e politica – spiega in una nota lo Studio 3A -. In mezzo, però, c’è la tragedia di un ragazzo la cui unica sfortuna è stata quella di imbattersi per puro caso nel bel mezzo di una situazione equivoca”.
Marco Rizzetto è morto la notte del 2 maggio 2014, in seguito al violento urto avvenuto nella zona industriale East Park tra la sua Ford Fiesta e una Volkswagen Passat condotta da Rosanna Tabino di Ronchis, che per l’omicidio colposo ha patteggiato 21 mesi.
“Mentre procedeva per la sua strada con il diritto di precedenza – spiega Studio 3A -, viene speronato a 98-99 km all’ora, come provato dalla perizia disposta dalla Procura di Pordenone, dal lato del conducente”.
La donna al volante “dichiarerà di essere da sola in auto e di essere stata inseguita da qualcuno per giustificare la sua condotta omicida. A bordo con lei, in realtà – ma lo si scoprirà solo due giorni dopo – c’è anche Daniele Colautto, di Ronchis. Marco resta esanime nell’abitacolo della sua vettura, mentre la Tabino rimane nella sua Passat, a una decina di metri di distanza. Colautto esce con le sue gambe dall’auto, percorre due chilometri a piedi e si fa venire a prendere da un amico dell’Aci”.
Secondo quanto sostengono Studio 3A l’uomo non avrebbe allertato i soccorsi, chiamati “alle 22.14, quasi un’ora dopo il sinistro, avvenuto tra le 21.30 e le 21.45” dalla Tabino che “non chiama il 118 bensì il suo medico di base, che accorre sul posto: sarà lei lungo il tragitto a chiamare i soccorsi. Ma, inspiegabilmente, la dottoressa di fatto presta soccorso solo all’amica ferita. Ai carabinieri dichiarerà di aver gridato a gran voce verso la macchina di Marco Rizzetto ma senza avvicinarsi e di non aver ottenuto risposta”.
La prima ambulanza arriva sul posto circa un’ora e mezzo dopo il fatto, alle 23.05,e il giovane medico della Guardia Medica che interviene non può che constatare il decesso di Marco Rizzetto, avvenuto, sul colpo: “circostanza su cui però non vi sono certezze – ribadisce Studio 3A -, anche perché il dottore non effettua alcuna verifica dei parametri post mortem e, soprattutto, anche in seguito a tutti questi depistaggi, sulla salma non viene disposta l’autopsia”.
La famiglia di Marco, però, non ci sta: secondo il papà, che vuole andare a fondo, stabilire cos’è davvero successo al figlio e capire quanto tempo è stato perso e se si sarebbe potuto salvare, il ragazzo avrebbe agonizzato dai 30 ai 60 minuti. Perciò è stata presentata opposizione contro l’archiviazione dell’inchiesta sull’omissione di soccorso a carico di Colautto e la Procura di Pordenone ha disposto ulteriori accertamenti per stabilire con certezza come e quando sia sopraggiunta la morte del ragazzo.
“Il dubbio atroce che nostro figlio si sarebbe potuto salvare, se si fossero chiamati tempestivamente i soccorsi, è per noi un costante tormento. Il 12 luglio lei, signor giudice, si esprimerà sull’ennesima richiesta di archiviazione sull’omissione di soccorso, alla quale noi ci siamo energicamente opposti, consentendo anche la riesumazione della salma per una TAC o una risonanza magnetica total body – conclude il papà -. Una decisione per noi molto sofferta ma che abbiamo preso nella speranza di capire se mio figlio, come crediamo e temiamo, sia stato lasciato morire, e di vedere condannato alla giusta pena chi si è macchiato di questo misfatto. Nulla ci restituirà nostro figlio, ma sarà per noi un motivo di consolazione sapere di avergli quanto meno reso giustizia. Non può passare il concetto che una qualsiasi persona possa essere abbandonata e lasciata morire, tanto poi la si passa liscia”.