L’incidente mortale del quale è rimasto vittima il dicottenne Lorenzo Parelli ha scosso profondamente gli animi dei friulani e pone agli esperti un quesito molto chiaro: cosa fare perché ciò che è accaduto a Lauzacco (e vale in generale per le morti bianche) non si ripeta? Abbiamo posto la domanda a Bruzio Brisignano, formatore e tra i massimi esperti in regione di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Morire a 18 anni durante uno stage in fabbrica: cosa ha pensato appresa la notizia? “A cosa potevamo fare di più! E’ la frase con cui il prefetto di Parma introduceva lo spettacolo Ocjo. Usava il plurale e ci fece capire meglio che serve un impegno corale, collettivo, perché credo che nessuno degli attori da solo possa incidere sulla diminuzione degli infortuni, in particolare quelli mortali. In realtà il primo pensiero è andato a un sabato pomeriggio del 1991, quando rientrando in casa dall’azienda che mi aveva assunto per occuparmi di sicurezza, mi chiamarono al telefono per dirmi che erano appena morti due operai. Arrivato in acciaieria, quanto immaginato divenne drammatica realtà…”.
Perché accadono questi incidenti? Non si è fatto abbastanza finora? “Non c’è una risposta univoca: sarebbe come chiedersi perché succedono infortuni domestici e nel tempo libero o incidenti stradali. In assoluto gli infortuni accadono per il mancato rispetto delle regole, intese come regole nella costruzione delle fabbriche, degli impianti, delle attrezzature, dei dispositivi di protezione individuale a disposizione, dell’organizzazione del lavoro, della scarsa conoscenza dei rischi e della loro sottovalutazione oltre che dei comportamenti personali, derivanti spesso da scarsa formazione e addestramento – trovo sostanzialmente inutile, se non deleteria la formazione a distanza su questi temi – e dalla non sempre attenta ‘vigilanza’ dei responsabili aziendali. Ricordo la mia naja alpina: frequentai la scuola militare alpina ad Aosta per diventare sergente comandante di squadra. Mi fecero fare 5 mesi di formazione teorico-pratica, 5 mesi di addestramento-affiancamento al battaglione e, infine, 5 mesi da sergente. Ora la legge prevede per i capi un corso di 8 ore sulla sicurezza dopo percorsi scolastici in cui l’argomento non sempre è approfondito”.
Conta la dimensione aziendale? “L’ 80% degli incidenti si verifica in aziende con meno di dieci addetti, che occupano circa il 50% della forza lavoro. C’è poi l’aspetto degli appalti e dei sub appalti, ancora critico, non solo per la formula del massimo ribasso o dell’offerta più vantaggiosa, ma anche per la tipologia del personale, assunto da finte cooperative o con scarso se non nullo potere contrattuale. Dopo il recepimento delle direttive comunitarie, a partire dalla famosa legge 626 del 1994 la situazione è decisamente migliorata. Negli Anni ’60 si registravano circa 4.000 infortuni mortali all’anno, ora sono circa 1.000, di cui metà su strada e sui mezzi di trasporto”.
Cos’è cambiato in questi anni? “Non soltanto la sensibilità collettiva sul tema è cresciuta e i media ne parlano di più, ma con la riforma del processo penale, la materia è seguita dalla Procura della Repubblica. Le associazioni di categoria, in particolare Confindustria, hanno fatto molto e c’è stato qualche timido passo avanti nella scuola e non sempre all’Università. Altro tema è quello delle istituzioni preposte al controllo sempre gravate dalla carenza di personale e divise in vari organismi (Usl regionali), Ispettorato del lavoro, con nucleo Carabinieri, Inail, Inps, Vigili del Fuoco, con evidenti difficoltà di coordinamento”.
C’è correlazione tra infortuni e ripresa produttiva? “Non so se in termini percentuali sia proprio vero, comunque la cosa potrebbe essersi verificata nelle aziende non strutturate, ove il lavoro non è proceduralizzato. La cosa può essere vera nei cantieri, in particolare con il bonus facciate e altro. In edilizia i lavoratori sono spesso stranieri, con scarsa conoscenza dell’italiano, o finte partite Iva”