Continuano le indagini che, ieri, hanno portato a una serie di perquisizioni a Udine e Trieste, ma anche a Verona, Milano e Napoli, partite su impulso della Direzione distrettuale antimafia di Trieste. Nel mirino della maxi-operazione, sono finiti i locali della catena ‘Peperino’. L’accusa è di riciclaggio di somme provenienti da attività illegali mediante l’intestazione fittizia di quote societarie a prestanome, a favore della criminalità organizzata campana.
Ieri, un centinaio di militari delle Fiamme Gialle e dell’Arma (di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e Campania), su disposizione del Procuratore della Repubblica di Trieste, Carlo Mastelloni, e del sostituto Federico Frezza, hanno perquisito 12 abitazioni e 20 tra sedi societarie e punti di ristorazione, compresi i locali udinesi di via Zanon (il ‘Peperino’) e di piazza San Giacomo (il ‘Mezza Libbra’) e quelli triestini di via del Coroneo (il ‘Peperino’) e sulle Rive (il ‘Marinato’), oltre all’abitazione del titolare. Sono stati avviati accertamenti bancari a livello nazionale sul transito di flussi di denaro su 150 conti correnti bancari.
“È possibile realisticamente ritenere che anche il tessuto economico del Friuli Venezia Giulia non possa più considerarsi immune da tentativi compiuti di infiltrazioni della camorra”, aveva detto ieri il Procuratore Carlo Mastelloni, commentando l’indagine. E proprio questo è il tema. La rete di contatto messa in piedi tra Friuli e Campania – almeno stando alle prime ricostruzioni, ancora parziali – appare infatti fitta, al punto che in molti hanno già iniziato a parlare di una ‘pizza connection’ locale.
Anche perché il quadro investigativo, come sottolinea la Procura di Trieste, “risulta arricchito da dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia (Pasquale Galasso, ndr), già camorrista di spessore, che ha fornito agli inquirenti una chiave di lettura coerente sulle condotte illecite pregresse attribuibili al ristoratore e all’intero circuito criminoso”.