I corsi d’acqua sono il sistema sanguigno della terra. Non ricordiamo dove abbiamo letto o sentito questa considerazione, ma basta percorrere molte delle nostre vallate montane per capire che il nostro territorio lo stiamo letteralmente svenando. Nel corso degli anni, prima con i grandi impianti realizzati nella prima metà dello scorso secolo e poi, via via con centinaia di piccole centrali, realizzate dove c’erano abbastanza acqua e pendenza, rii e torrenti montani sono stati oggetto di attenzioni, divenute spasmodiche con l’avvento degli incentivi dedicati alle energie rinnovabili. Rinnovabili, ma non sempre ecosostenibili, se si considera che per produrre energia elettrica, l’acqua viene prelevata dall’alveo salvo restituirla, quando va bene, qualche centinaio di metri più a valle. Altrimenti, come nel caso delle grandi derivazioni, il sangue della terra scompare del tutto, per riapparire a chilometri di distanza oppure si accumula nei grandi bacini artificiali, prosciugando gli alvei. E’ il caso dei grandi impianti realizzati dalla Sade e da altre società nel corso dello scorso secolo, poi passati di mano all’Enel all’epoca della nazionalizzazione e, infine in mani private. Opere di presa e sbarramenti drenano milioni di litri d’acqua dalla Val Tagliamento, dalla Val Cellina e dalla Val Tramontina, trasformati in miliardi di chilowatt di energia e, ovviamente, di euro. Una fonte inesauribile o quasi, che rende moltissimo e costa poco, visto l’ammontare limitato dei sovra canoni e dei canoni rivieraschi pagati dai derivatori, calcolati sulla potenza media nominale e non sulla produzione effettiva
IN MANI STRANIERE – Se nel caso delle derivazioni medio-piccole la proprietà è sostanzialmente diffusa – anche se ci sono alcune imprese più ‘attive’ di altre – ed è in larga parte legate a imprenditori nostrani, cambia tutto quando si parla di grandi derivazioni, immancabilmente finite in mani ‘straniere’ con la privatizzazione avviata negli Anni ’90, che si tratti dei francesi dell’Edf che controlla la Edison (proprietaria dei grandi impianti in Val Meduna e Valcellina) o di A2A, la multiutility lombarda che controlla Edipower (proprietaria delle grandi derivazioni e relative centrali che sfruttano le acque del bacino del Tagliamento). Fino a qualche anno fa, era presente anche la Sel, azienda controllata dalla Provincia di Bolzano che dopo un giro vorticoso di partecipazioni tra Edipower ed
Edison, tramite una serie di passaggi, per un valore di circa 230 milioni di euro, ha sostanzialmente ceduto i propri impianti controllati in Friuli, garantendosi in tal modo il pieno controllo degli impianti idroelettrici posseduti in Alto Adige. In pratica, sulle spalle dei friulani e delle loro acque hanno fatto i loro comodi anche gli altoatesini che però hanno provveduto per tempo a mettersi al riparo dagli appetiti delle grandi aziende private facendo in modo che i benefici dello sfruttamento idroelettrico ricadano il più possibile sul territorio, che si tratti di energia ceduta gratuitamente agli uffici pubblici o di introiti.
MODELLO ALTO ADIGE – Qualcosa però si sta muovendo, sulla spinta dei comitati che da anni chiedono un nuovo modo di gestire le acque e alla luce delle norme introdotte dalla legge 12 del 2019 che prevede, fra l’altro, che alla scadenza delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche e nei casi di decadenza o rinuncia, gli impianti passino gratuitamente in proprietà alle regioni. Il modello potrebbe essere proprio quello alto atesino. Si tratterà ora di vedere se in Consiglio regionale, una nuova legge regionale avrà miglior fortuna di quella a suo tempo naufragata nel 2017.
La sete inesauribile di energia svuota i fiumi
INCHIESTA. Il fronte delle concessioni. I proprietari degli impianti idroelettrici fanno i soldi a palate con le acque pubbliche, ma al territorio restano solo le briciole
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