Non c’è solo la confessione a inchiodare alle sue responsabilità Nicola Garbino. Ci sono anche i riscontri e le prove. La più importante, al momento, sta su un guanto di pile che l’assassino di Silvia Gobbato avrebbe indossato al momento del delitto. E su quel guanto ci sarebbero sia il sangue della vittima, sia quello del carnefice. Sull’arma del delitto, un lungo coltello (25-30 centimetri), invece, non ci sarebbero tracce ematiche immediatamente visibili, ma gli accertamenti in corso potrebbero individuarlo nelle prossime ore. A quanto pare, insomma, l’assassino avrebbe lavato il coltello, forse nelle acque del Cormor.
Sono questi i primi, significativi riscontri emersi nel corso di una conferenza stampa indetta dai Carabinieri, presenti il comandante provinciale dell’Arma, colonnello Del Piano, e il numero uno del Ris, Giampietro Lago, per illustrare i dati delle prime analisi condotte in queste ore. Le indagini, infatti, sono ancora in pieno svolgimento.
Garbino, dunque, avrebbe compiuto l’omicidio indossando una sorta di tuta sopra i suoi vestiti e un paio di guanti in pile. Dopo il delitto, avrebbe infilato questi indumenti e il coltello in una sacca, poi nascosta nei campi. Nella mattinata di ieri, poco prima di essere intercettato da una pattuglia dei carabinieri, Garbino è tornato nelle vicinanze del luogo del delitto per cercare di recuperare questi oggetti. E, poco dopo, è stato intercettato dai carabinieri ai quali ha confessato immediatamente di essere l’autore dell’efferato omicidio. Una confessione, la sua, che è diventata una totale assunzione di responsabilità nelle ore successive. E che da subito, ma pure in queste ore, sta trovando riscontri oggettivi inequivocabili.
Un autentico successo per le forze dell’ordine, insomma. Non a caso, nel pomeriggio di ieri sulla recinzione della caserma di viale Trieste era apparso spontaneamente uno striscione per ringraziare i Carabinieri.