Trent’anni fa, il 10 aprile 1991 alle 22.25, la notte nella rada di Livorno si ‘colorò’ del colore del fuoco, della fiamme che avvolsero il traghetto Moby Prince a due miglia e mezzo dal porto. Come una nave fantasma, il traghetto carico di 140 persone – tra equipaggio e passeggeri – vagava in mare, privo di controllo dopo essersi scontrato con la petroliera Agip Abruzzo della Snam. Morirono tutti a bordo del Moby Prince, eccetto il mozzo napoletano Alessio Bertrand, tra cui cinque friulani, ed è la più grande tragedia della marina civile italiana dal secondo dopoguerra. Al contempo, come spesso accade in Italia, quanto accaduto a bordo del traghetto della Navarma è anche uno dei più grandi misteri del nostro Paese. Un mistero su cui, a distanza di 30 anni, non è stata fatta ancora luce.
Quella notte di 30 anni fa, nella rada di Livorno, a bordo di quel traghetto diretto a Olbia trovarono la morte i friulani Antonio Gabelli di Mortegliano e la moglie Adriana Botturi, originaria di Brescia, Rino e Ranieri Trevisan di Spilimbergo e il cameriere Gavino Bianco di Grado. Bertrand venne tratto in salvo da una barca di due privati che giunsero in soccorso quella notte.
Il greggio si riversò sul Moby Prince che si trasformò in un’immensa torcia con l’innesco delle fiamme, provocato forse dall’attrito delle lamiere. L’incendio provocò la morte di parte di chi si trovava a bordo, ma molti passeggeri sono stati uccisi dal monossido di carbonio, trovato nel sangue di molte vittime nel corso degli esami eseguiti. Quella notte, sebbene ci fu chi provò a portare aiuti, ci furono anche molti, troppi errori nella coordinazione dei soccorsi. Qualcuno, oltre al mozzo, si poteva salvare? Perché dopo l’impatto, la Capitaneria di Porto, per oltre un’ora, non cercò la nave che aveva squarciato la petroliera? Perché non si sono cercati gli eventuali superstiti? Il traghetto fu individuato solo alle 23.35.
L’incidente è stato attribuito a un errore umano, si è parlato della presenza della nebbia, che avrebbe fatto scontrare le due navi. Ipotesi smentita, però, da numerose testimonianze. I familiari delle vittime hanno contestato per anni la verità processuale. Nel maggio 2013 ha preso avvio la campagna permanente #IoSono141 per sostenere la lotta civile dei familiari delle vittime del Moby Prince per ottenere verità e giustizia. Nel 2018 una commissione parlamentare d’inchiesta, istituita il 31 gennaio 2014, ha sostanzialmente ribaltato la ricostruzione ufficiale dei fatti. La tragedia non è riconducibile alla presenza di nebbia e alla negligenza del comando del traghetto; la nebbia è stata immotivatamente utilizzata come giustificazione del caos dei soccorsi coordinati dalla Capitaneria di porto; l’indagine della Procura di Livorno nel processo di primo grado si è rivelata carente e condizionata da fattori esterni; l’indagine medico-legale è stata eseguita in maniera lacunosa, concentrandosi sul riconoscimento delle vittime, senza appurare le cause della morte di ciascuna vittima; la morte dei passeggeri e dell’equipaggio non è avvenuta per tutti entro trenta minuti, come invece riportato negli atti processuali.
E’ notizia di pochi giorni fa che la commissione Trasporti della Camera dei Deputati ha approvato il testo unificato delle tre proposte istitutive per la nuova inchiesta parlamentare sulla strage, istituendo una nuova commissione di inchiesta, che parta dalle conclusioni della prima commissione, perché non è mai tardi per cercare la verità e dare giustizia alle 140 vittime e ai loro famigliari.
#10aprile 1991 – nella rada del porto di Livorno, il traghetto #MobyPrince entrò in collisione con l’Agip Abruzzo, petroliera Snam; 140 le vittime.
In questi giorni in @CD_trasporti le proposte per istituire una Commissione d’Inchiesta: https://t.co/HFBXkGxqgV#StoriadItalia pic.twitter.com/DZqE54iLC2
— Camera dei deputati (@Montecitorio) April 10, 2021