La Giunta Fedriga, dopo aver approvato le linee guida della riforma sanitaria, ha mosso i primi passi concreti, disponendo prima il riconoscimento all’ospedale di Gemona del ruolo di Centro di riferimento regionale per la riabilitazione assieme al Gervasutta di Udine e poi il trasferimento del punto nascita a Latisana, garantendo al contempo il potenziamento di alcune specialità in quello di Palmanova. Inutile dire che quest’ultima decisione ha suscitato polemiche roventi fuori e dentro il Consiglio regionale, che proprio giovedì 20 ha approvato a maggioranza la scelta.
Il giudizio se si sia trattato di una scelta squisitamente politica, come accusa in particolare il Pd, o se sia invece dettata da questioni tecniche e di programmazione, come invece rivendicato dall’assessore alla Salute Riccardo Riccardi, lo lasciamo al lettore. Possiamo quanto meno sgombrare dal campo un dubbio che in questi giorni è serpeggiato insistente. Ovvero che la perdita del punto nascite equivalga a una condanna a morte dell’ospedale. Non per il momento, per lo meno, perché nessuno degli interlocutori ascoltati, tutti in qualche modo tecnici, è disposto a ipotizzare tale possibilità, nonostante il sistema sanitario sia in forte difficoltà, nel senso che le scelte dolorose di chiusura dei piccoli ospedali sono già state fatte. Ora si tratta di dare a quelli rimasti, e soprattutto al territorio, un ruolo ben più incisivo di quanto non sia avvenuto finora.
Ne abbiamo parlato anche con Giorgio Ros, già direttore generale dell’Ass4, che ha fatto parte del tavolo di esperti presieduto dal direttore regionale Salute, Gianni Cortiula, assieme a Lionello Barbina, Silvio Brusaferro, Piero Cappelletti, Roberta Chervesani, Gianpiero Fasola, Davide Larice e Gianfranco Sinagra.
Passaggi fondamentali
Per Ros la riforma sanitaria deve necessariamente affrontare due passaggi importanti: miglioramento del lavoro sul territorio per affrontare le cronicità e soluzione dei tanti problemi legati al sistema informatico attuale.
“Il sistema sul territorio va rinforzato – conferma Ros – non tanto in termini economici, quanto organizzativi, perché ogni distretto ora pare andare per conto suo. Proprio il territorio è una parte fondamentale del sistema sanitario in quanto affronta la maggior parte delle necessità espresse dal 90% della popolazione. Dunque serve un ragionamento serio, altrimenti gli ospedali non reggeranno. La riflessione che abbiamo fatto è questa: storicamente i nosocomi si occupavano di tutte le patologie, partendo dalla medicina e dalla chirurgia. Il mondo è cambiato e sono sorte numerose specializzazioni, perché la medicina si è evoluta ed è progredita. L’idea dell’ospedale autosufficiente ai bisogni della popolazione non regge più, in termini economici e di qualità del servizio.
Dunque si è cominciato a lavorare con lo schema hub e spoke. Abbiamo a disposizione tre grandi strutture di riferimento con elevati livelli di qualità e specializzazione e ospedali periferici autonomi, ma capaci di rispondere al 60-70% dei bisogni di cure della popolazione. Per la restante quota di specializzazione, o i medici altamente specializzati si spostano in base alle necessità del territorio o si sposta il paziente verso l’ospedale sulla base di una serie di valutazioni”.
Specializzazione in periferia
“Ora mi pare – sottolinea l’interlocutore – che stiano andando in questa direzione, come nel caso di Gemona. Hanno deciso di rafforzare il servizio dedicato alla riabilitazione, dove pure ci sono carenze da risolvere. Lo stesso deve valere per Latisana e Palmanova. Ovviamente, due punti nascita non stavano in piedi. Poi, la scelta di dove collocarlo diventa anche politica, ma in qualità di tecnici dobbiamo chiederci comunque cosa succede alla mamma di Palmanova, che tipo di servizio intendiamo garantirle. Questa premessa spiega quanto sia strategico il territorio e la necessità di rafforzarlo, ben sapendo che se parliamo di strutture ospedaliere non abbiamo più le risorse economiche e umane per mantenerne aperti doppioni”.
Così il sistema regge
Resta il dubbio che il sistema non regga di fronte ai costi sempre crescenti della sanità e a Ros abbiamo chiesto se sia fondato il timore di altre chiusure. “Va in ogni caso mantenuto un livello di base negli ospedali spoke, senza i quali si finirebbe per ingolfare le strutture di riferimento. Credo che il sistema attuale regga a patto di compiere una radicale revisione dell’informatizzazione che deve collegare perfettamente territorio e ospedali, pena una serie infinita di problemi e ritardi. Inoltre, bisogna investire sulla formazione del personale. Se cambi la struttura del sistema, cambia anche il ruolo di medici e infermieri. Questi due pilastri, se collassano, sono in grado di far fallire la riforma davanti alle barricate, ma se adeguatamente rafforzati possono trasformarla in una realtà efficiente”.
Quanto al dilemma se debba prevalere la scelta politica o quella tecnica Ros fa professione di moderazione: “La questione temo non sarà mai risolta. Alla fine il politico che ha chiesto il voto alla popolazione non può non tenere conto delle sue indicazioni. Sarebbe altrettanto sbagliato dare tutto in mano ai tecnici senza tenere conto della mediazione del politico, che ha il polso della situazione sul territorio. Serve insomma buon senso e tanta pazienza”.