Per la prima volta, Paola e Claudio Regeni, i genitori del giovane ricercatore ucciso al Cairo, hanno partecipato a una conferenza stampa, convocata alle 14 di oggi al Senato, nella sala Nassyria. All’incontro, organizzato dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani, sono intervenuti anche l’avvocato Alessandra Ballerini e il portavoce di Amnesty international Italia, Riccardo Noury.
Iniziata la conferenza stampa, introdotta dal senatore Manconi, che ricorda l’incontro del 16 marzo indetto dalla Commissione da lui presieduta, nella quale i genitori di Giulio, assieme al loro avvocato, avevano pronosticato che l’Egitto avrebbe cercato dei ‘colpevoli di comodo’ per l’omicidio. Pochi giorni dopo, il comunicato del ministero dell’Interno egiziano ha drammaticamente confermato queste ipotesi, con l’accusa rivolta ai cinque uomini uccisi nel corso di un blitz della polizia. “E’ per questo – spiega ancora Manconi – che oggi Paola e Claudio hanno scelto di parlare, impegnandosi affinchè la verità sull’uccisione di Giulio Regeni non venga consegnata all’oblio”.
Claudio Regeni: “Ecco la storia di Giulio”
Parola, quindi, a papà Claudio, che ha ricordato il figlio. “La storia di Giulio inizia a Fiumicello, quando a 12 anni fu eletto sindaco dei giovani. A 17 anni se ne andò nel New Mexico, al Collegio del Mondo Unito, dove ha potuto apprezzare il valore della diversità e l’amicizia possibile, impostando le basi per il suo successivo impegno in Inghilterra, dove ha iniziato a studiare l’arabo. Poi un anno in Egitto per approfondire la conoscenza della lingua. Quindi, la collaborazione con l’Unido; per un anno ha lavorato come caporedattore, raccogliendo le informazioni in arrivo dai Paesi di cultura araba. Da lì, l’esperienza di dottorato che lo ha riportato in Egitto, dove si è tragicamente conclusa la sua vita”.
“Grazie a tutta Italia per la vicinanza e l’affetto”
“Grazie a tutta Italia per la vicinanza e l’affetto che in tantissimi ci hanno dimostrato da tutte le regioni, oltre che ai tanti amici giunti dall’estero per il funerale di Giulio”, ha concluso il papà.
Microfono, quindi, alla mamma Claudia Deffendi: “Essere qui rinnova il nostro dolore, ma è necessario. Questo, hanno detto in Egitto, è un caso isolato, che ha fatto troppo clamore. Ma non è così: non stiamo parlando di morbillo o di altre malattie infettive. Stiamo parlando di un cittadino italiano torturato, un caso come non se ne vedono da anni, forse addirittura dalla Seconda Guerra Mondiale dove, appunto, chi veniva torturato era in guerra. Giulio era al Cairo per fare ricerca, non era un giornalista e non era una spia. Era un ragazzo contemporaneo o, forse, del futuro, perchè non è stato capito”.
“Non vi dico cosa non hanno fatto a quel viso”
“Avete visto le foto di Giulio, sempre sorridente, con uno sguardo aperto. L’ultimo scatto è quello che lo ritrae con un maglione verde e una camicia rossa, in una serata conviviale con amici. Quella è l’ultima immagine felice. Poi c’è quella terribile che abbiamo visto in pochi, quella del suo volto come ce lo hanno resitituito dall’Egitto. Non vi dico cosa non hanno fatto a quel viso, che era così bello e solare. Su quel viso sembrava essersi riversato tutto il male del mondo. L’unica cosa che ho ritrovato è stata la punta del suo naso. Lo abbiamo visto per il riconoscimento solo a Roma, perchè in Egitto ci avevano consigliato di non vederlo. Poi, una volta rientrati, mi sono sentita in dovere di farlo, per rispetto al suo dolore”.
“Questo non è un caso isolato: questo è Giulio, un cittadino italiano che stava lavorando per fare del bene a tanti. Per questo continuiamo a chiedere verità per Giulio e attendiamo di capire, il 5 aprile, cosa porteranno gli inquirenti del Cairo nel loro incontro con gli investigatori italiani”.
Le finte prove servite su un vassoio d’argento
Parola, quindi, all’avvocato Ballerini: “Prima di venire qui ci siamo chiesti se fosse utile far vedere le immagini di Giulio così come è stato riconsegnato dall’Egitto. Ci abbiamo pensato, ma le parole di mamma Claudia forse sono più efficaci. Avevamo pensato di mostrare il volto di Giulio per contrastare un’altra immagine, quella diffusa dalle autorità egiziane, con le prove servite su un piatto d’argento. Tutti gli elementi, tranne i documenti, non erano sicuramente di Giulio. E questo aumenta l’oltraggio di questa immagine, confezionata ad arte (anche con un pezzo di fumo). Noi stiamo collaborando con la Procura, ma la maggior parte delle prove e degli interrogatori sono stati eseguiti al Cairo. I tanti amici giunti a Fiumicello per il funerale – continua l’avvocato – si sono messi a disposizione completa delle autorità italiane, offrendo i loro computer e telefoni ai Ros per dare il proprio contributo alle indagini. E credetemi non è frequente”.
L’avvocato: “Non vogliamo ci sia servita un’altra bugia nei prossimi giorni”
“Stiamo valutando la possibilità di ingaggiare degli avvocati al Cairo e attendiamo i possibili sviluppi dall’incontro del 5 aprile, tra gli inquirenti italiani ed egiziani. Non ci aspettiamo l’ultima parola da questo appuntamento, ma vedremo. Non abbiamo consegnato la foto di Giulio perchè dopo la versione giunta tra il 24 e 25 marzo dall’Egitto la mobilitazione è stata tale da annullare questa ricostruzione. Quindi chiediamo a tutti di mantenere alta l’attenzione, perchè non ci sia servita un’altra bugia nei prossimi giorni”, ha concluso l’avvocato.
Domenica 3 aprile nuova mobilitazione qui a Roma
Spazio quindi a Noury: “La storia di Giulio è strettamente collegata al contesto di negazione dei diritti umani che c’è, non da oggi, in Egitto. E sono proprio le autorità egiziane a negare questo rapporto. Nel 2015 sono stati documentati 464 casi di sparizioni e 1676 casi di torura, oltre 500 dei quali terminati con la morte della vittima. Nei giorni in cui spariva Giulio, sono stati rapiti e poi ritrovati morti altri due attivisti per i diritti umani sempre al Cairo. Alla luce delle circostanze nelle quali Giulio è scomparso e poi è stato ritrovato, è chiaro che il contesto non è quello di un caso isolato. Domenica 3 aprile organizzeremo una nuova mobilitazione qui a Roma: la squadra di calcio di Antigone (che milita in terza categoria) scenderà in campo con lo striscione ‘verità per Giulio’ e vorremmo che questo gesto fosse replicato su tanti altri campi il 23 e 24 aprile, prima di una data importante per la storia italiana”, ha concluso Noury.
Manconi: “Dovremmo rivedere le relazioni internazionali”
“Nel sistema di potere egiziano – ha detto poi il sentore Manconi – c’è uno scontro in atto, tra posizioni e volontà diverse. Finora, a prevalere, non è stato il filone che favoriva la ricerca della verità. La fiducia mia e dei genitori di Giulio nei confronti del procuratore Pignatone è forte e testimoniata dai fatti. Tuttavia, penso che si debba anche operare con una determinazione maggiore di quella finora adottata. Bisogna porre con urgenza e in tempi stretti la questione del richiamo in Italia del nostro ambasciatore in Egitto “per consultazioni”. Un gesto non solo simbolico e intenso, per far comprendere come il nostro Paese segue con la massima attenzione la vicenda e il suo peso nelle relazioni con l’Egitto. E penso dovremmo rivedere le relazioni internazionali. E’ ugente e ineludibile la necessità di atti concreti, come quello che porterebbe l’unità di crisi della Farnesina a dichiarare l’Egitto come Paese non sicuro, proprio alla luce di quanto successo a Giulio e a tante altre persone scomparse. Questo provvedimento avrebbe effetti immediati sui flussi turistici dall’Italia. Tutto questo in un quadro di relazioni – economiche, commerciali, polictiche – che non devono essere interrotte, ma riviste”.
Claudia Deffendi: “Speriamo di non dover mai usare la foto del corpo di Giulio”
Spazio quindi alle domande: “Ci auguriamo che il 5 aprile possano emergere dati importanti. Se non sarà così, chiediamo una risposta forte del Governo. E speriamo di non dover mai usare la foto del corpo di Giulio”, ha detto mamma Claudia.
A chi ha chiesto se ci fossero stati dei timori prima di ripartire per l’Egitto, papà Claudio ha detto che era sereno e contento “perchè vedeva una prospettiva di sviluppo per il suo lavoro. Aveva trascorso le vacanze di Natale con amici e vedeva nel 23 marzo la data di chiusura della sua ricerca per il dottorato. Lo abbiamo accompagnato come sempre. La notizia della sua scomparsa è arrivata a casa, il 27 gennaio alle 14.30, tramite una telefonata dalla console alla quale ho risposto io. Ho atteso l’arrivo di mia moglie e potete immaginare come ci siamo sentiti. Se non ci saranno sviluppi il 5 aprile, credo che la linea proposta dal senatore Manconi sia quella giusta, chiedendo il massimo impegno alle nostre autorità”.
Come avete vissuto questa nuova versione appena giunta dall’Egitto? “Ero in auto e tornavo a casa quanto ho saputo dei cinque uomini uccisi”, racconta la mamma, “e appena rientrata ho detto a mio marito: vedrai che diranno che sono stati loro. E così è stato”.
Come giudicate l’atteggiamento tenuto dal Cairo e cosa chiedete al Governo italiano? “Abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni. Non abbiamo mai avuto la sensazione che l’Egitto abbia mai voluto seriamente collaborare per chiudere questa vicenda che loro stessi ammettono abbia comporato dei danni”.
Perchè non si è saputo prima della scomparsa di Giulio, lasciando trascorrere cinque giorni? “C’è un protocollo diverso per i cittadini italiani – spiega l’avvocato – che prevede una procedura informale, in attesa della notizia ufficiale del fermo. Questo, però, non è avvenuto e mentre passavano i giorni ci si è accorti che il caso era diverso e si è capito che la cosa stava prendendo un’altra piega”.
“Nessuno ha tentato di dissuarderci perchè hanno capito che, anche se non abbiamo ‘strepitato’, siamo una famiglia ferma, quasi un carroarmato. Da mamma ho il blocco del pianto anche se ho sempre pianto molto, ascoltando canzoni in auto, ai funerali, guardando un bimbo. Ora piango pochissimo. Forse mi sbloccherò quando riuscirò a capire cosa è successo a mio figlio. Io non mi faccio nessuna ragione perchè non capisco. E non auguro a nessuno di provare quello che ha patito lui. Avrà cercato di spiegare chi era in tutte le lingue e poi mi vedo i suoi occhi che si chiedono ma cosa mi succede. E poi mi fa male pensare al momento in cui lui deve aver capito che quella porta non si sarebbe aperta più”.
Come fate a escludere che avesse contatti con i servizi segreti? “Avevamo un rapporto molto aperto e Giulio ci raccontava tutti i suoi spostamenti e incontri in Egitto. E tra questi non c’erano contatti con persone che potevano essere legate ai servizia segreti”, ha detto il papà. E mamma Paola ha aggiunto: “Chi ha un figlio lontano sa come si sviluppa una relazione a distanza. E Giulio era lontano da 11 anni. Avevamo un rapporto quasi viscerale”.
Sul conto corrente intestato a Giulio: “Il saldo – circa 800 euro – non è stato toccato dopo la sua morte nè durante i giorni del sequestro”.
Sugli oggetti fatti ritrovare assieme ai documenti, risponde l’avvocato Ballerini: “Questa mattina, due ore fa, abbiamo disconoscito le altre cose che, secondo qualcuno, potevano appartenere ad altre persone rapinate. Per l’autopsia, la morte potrebbe essere avvenuta l’1 o il 2 e inequivocabilmente si tratta di tortura. Perchè il regime nega la verità? Ovviamente perchè è scomoda, perchè sono riusciti a farlo sparire così e poi a farlo ritrovare in due luoghi controllati”.
Cosa provate? ” Ci sono momenti di rabbia, forse più miei che di mio marito. Proviamo – ha detto Paola – un gran dispiacere. Una cosa così cambia la vita non solo a noi e a nostra figlia Irene, ma anche ai vicini e a chi lo ha conosciuto. Ma ora stiamo parlando di torture e di Egitto. Un Paese sicuro?”.