“L’importante non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale non è la vittoria ma la certezza di essersi battuti bene”. Lo diceva Pierre de Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne. Peccato che a distanza di un secolo, la massima sia stata disattesa. Al giorno d’oggi conta arrivare primi e battere tutti sul tempo. Non c’è più tempo per fare citazioni, che magari non si ricordano nemmeno, o che nessuno ha mai insegnato.
Ancora più difficile è ricordare quanto ha scritto Pier Paolo Pasolini, il poeta e intelettuale di Casarsa, da cui dovremmo tutti imparare.
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”.