Nel 1982, nel Fvg c’erano quasi 35 mila aziende. Oggi non raggiungono le 32 mila unità. Sono questi i dati sulla situazione delle imprese artigiane nel territorio regionale. “L’artigianato – spiega Nicola Serio, responsabile dell’Ufficio studi della Confartigianato di Udine, che ha elaborato la statistica – ha conosciuto fasi di sviluppo e di contrazione, spesso legate ai cicli economici. Dall’ ’83 al ’94 il numero delle imprese attive, cresciuto negli anni del post terremoto, si è ridotto. Nel decennio successivo si è verificata una ripresa, ma dal 2006 a oggi si è fatta sentire la diminuzione della domanda interna, dovuta alla riduzione del potere d’acquisto, mai recuperata”.
Territori ‘fertili’…
Ma quali sono i territori più ‘fertili’ e quelli più ‘sterili’ per l’artigianato? “Partiamo – continua Serio – dai dati positivi. In generale, le nuove aziende nascono in pianura (63 per cento) e nei capoluoghi. Un’impresa su 6 è nata a Trieste, una su 10 a Udine. Inoltre, le aziende fioriscono attorno ai distretti industriali. Il 18 per cento delle aperture si è verificato nel distretto del caffè a Trieste, l’11,7 nel distretto delle tecnologie digitali tra Udine e Tavagnacco e l’11,6 attorno alla componentistica meccanica pordenonese. Qui, l’attività di supporto alla grande industria manifatturiera ha tenuto e, nel complesso, è rimasta forte anche rispetto agli Anni ’80. Il bilancio è buono anche nella zona di Latisana, che 30 anni fa era ancora molto legata all’agricoltura e che ha seguito l’evoluzione del lavoro e delle attività. Anche i Comuni dell’hinterland udinese hanno registrato una crescita in termini di aziende artigiane. Ciò è probabilmente dovuto, oltre al distretto digitale, da una parte dalla ‘fuga dalla città’ di molti abitanti del capoluogo, dall’altra all’apertura dei centri commerciali, che hanno comunque bisogno dei servizi degli artigiani. E poi ci sono alcuni casi isolati. Come quelli di Erto e Casso e di Cimolais (determinato dal lento ritorno degli abitanti dopo la catastrofe del Vajont e, forse, dal ‘fenomeno Corona’), di Sauris (hanno influito i progetti legati alla riqualificazione del territorio e al recupero dei vecchi mestieri), di Osoppo e di Amaro (qui il numero degli artigiani è più che raddoppiato in questi 30 anni, ndr)”.
…e ‘sterili’
In tutto il resto del territorio, il bilancio è negativo. “Lo spopolamento – continua Serio – ha determinato la chiusura delle aziende nei territori montani, sia in Provincia di Udine, sia nella Destra Tagliamento, e nella Slavia friulana. I risultati peggiori, comunque, si sono verificati nell’Isontino, (dagli Anni ’80 ha chiuso un’impresa su cinque), specie attorno a Gorizia. La caduta dei confini con la Slovenia ha determinato una forte contrazione dei servizi legati al trasporto e alla logistica”.
Neo imprenditori: giovani, maschi e stranieri
Anche in tempi di crisi, c’è chi prende coraggio, investe nelle proprie capacità e apre un’attività artigianale. Qual è l’identikit di questi imprenditori? “Per quanto riguarda la nostra provincia – dice il responsabile dell’Ufficio studi della Confartigianato di Udine, Nicola Serio -, l’anno che ha ‘sfornato’ più artigiani è il 1980. Insomma, l’età più diffusa dei neo imprenditori è di 33 anni. In generale, poi, 8 nuovi artigiani su 10 sono di sesso maschile”. A fare impresa, inoltre, non sono solamente gli italiani. “In circa 12 casi su 100 – continua Serio – a partire con la propria azienda sono cittadini stranieri. Di questi, il 26 per cento è di origine albanese, il 13 proviene dal Kosovo. In terza posizione troviamo i cinesi (11 per cento). Per la maggioranza si tratta di donne”.