L’architettura del futuro? Quella più antica, che utilizza la terra su cui, poi, sorge lo stesso edificio. È la tesi sostenuta Giorgio Ganis e da Giovanni Carlo Fiappo, autori del libro ‘Architetture in terra del Friuli’, che raccoglie vent’anni di studi e di ricerche sugli edifici costruiti con la terra cruda, nelle provincie di Udine e Pordenone, dalla pianura alle montagne. È lo stesso Ganis che spiega le virtù, quanto mai attuali, di questa tecnica.
Come è presente questa tecnica in Friuli?
“La tecnica del costruire edifici in terra cruda, ossia con la terra impastata solo con l’acqua, comunemente chiamata fango, è il più antico e diffuso materiale di costruzione: è vecchio come il mondo. E non la utilizzano solo gli uomini, dato che anche molti animali costruiscono le loro ‘case’ con il fango.
In una casa di fango viveva Giobbe il giusto, più di 2000 anni fa e anche la nostra ‘casa’, ossia il nostro corpo, è fatta di fango, come è scritto nel Libro della Genesi e il nome stesso del primo uomo, Adamo, significa in ebraico proprio ‘fatto di terra’.
Con il fango si costruiva, e si costruisce, anche in Friuli, contrariamente a quanto comunemente si pensa. Questo da molti anni prima di Cristo, sia in campagna, sia in città; mattoni crudi e pareti divisorie in terra si trovano anche a Cervignano, Cividale e in centro città a Udine.
Nonostante il disastroso terremoto del 1976, sono ancora molte le testimonianze di questo patrimonio in regione e non solo nelle aree di pianura e lagunari. Purtroppo, molte incontrollate distruzioni di questo patrimonio edilizio sono state causate anche dalla frenesia di ristrutturare le proprie abitazioni per farle apparire più moderne, senza rendersi però conto del loro valore storico.
Gli archeologi Federica Zendron e Giovanni Carlo Fiappo raccontano come nella preistoria, molti secoli prima di Cristo, la terra cruda non era utilizzata solo per costruire edifici e abitazioni, ma anche per avevano spalmare le pareti delle fosse in cui riponevano i cereali per garantire una migliore conservazione delle sementi”.
Quali erano i vantaggi di questa tecnica?
“In termini odierni, si può dire che il suo vantaggio è la sostenibilità che vuol dire un futuro migliore per tutti. Dunque, anche un vantaggio economico a lunga scadenza, ma non solo perché è un materiale alla portata di tutti ed è completamente riciclabile sul posto. Si utilizza, inoltre, la terra presente nelle immediate vicinanze del luogo delle costruzioni e, così, si limitano al massimo gli spostamenti di automezzi, con tutto beneficio per il nostro ambiente. Poiché è una tecnica molto semplice, che utilizza solo terra, acqua, fibre vegetali e legname grezzo, è alla portata di tutti ed è realizzata con attrezzi di uso comune. Quattro sono le tecniche principali e tutte sono semplicissime: adobe, un termine spagnolo per indicare mattoni lasciati essiccare al sole e oggi entrato di uso comune per definire questi mattoni, simili per forma a quello che tutti conosciamo; pisé per indicare le pareti realizzate versando la terra dentro casseforme, come si fa con il calcestruzzo; bauge, altro vocabolo francese, per indicare muri realizzati sovrapponendo pani a terra e poi livellandoli a mano o con una particolare vanga; l’ultima tecnica è il torchis, utilizzata per realizzare pareti, sia interne sia esterne non portanti, che consiste nel rivestire con la terra un intreccio di tavole grezze o di rami generalmente di nocciolo”.
È ancora attuale per l’edilizia?
“Da quanto ho spiegato in queste brevi note e da quanto è descritto in maniera più approfondita nel libro in terra cruda si è sempre costruito e si continuerà a costruire, anche in Friuli.
Fino alla fine dell’800 era normale abitare in case di terra, con cui erano costruiti anche palazzi e palazzine molto eleganti all’interno della città, poiché la terra cruda era una necessità. Essa era l’unica realtà, l’unico modo di costruire, sia dei ricchi e sia dei poveri.
I costruttori distinguevano solo fra edifici e loro parti che dovevano durare nel tempo, ed erano dunque realizzati con materiali molto solidi come la pietra e i mattoni cotti, per esigenze strutturali o rappresentative, e quelli che potevano anche deteriorarsi, purché non causassero danni a cose e persone.
Nei manuali di costruzione di fine ’800 e inizio ’900, la terra era considerata salubre, mentre il cemento, che solo allora iniziava a essere utilizzato, era vivamente sconsigliato a persone e animali, nel caso di presenza continua, specie nei pavimenti.
In tutta l’Italia c’è una lunga tradizione di costruzioni in terra cruda, dal Piemonte alle due isole e si continua a costruire specie in Piemonte e nel centro della nostra penisola, dove la tradizione era più forte.
Si continua a costruire anche in tutto il mondo e perfino i maestri dell’architettura, come Le Corbusier e Wrigth la utilizzarono. A Berlino nel 2000 è stata costruita una chiesa e in Francia, vicino a Lione, un intero quartiere. Si costruiscono anche edifici pubblici dalla Cina all’America. Un terzo degli uomini vive oggi in architetture in terra cruda non solo nel terzo mondo, ma anche in America, Italia, Scandinavia, Inghilterra, Germania, Francia e Spagna.
Recentemente in Friuli sono stati ristrutturati due edifici, uno a Lumignacco e l’altro a Savorgnano del Torre”.
Può, quindi, avere ancora un futuro e quale?
“È giunto il momento di riprendere anche in Friuli a costruire in terra perché oggi solo così si può costruire il ‘nuovo’, per un futuro che deve essere sostenibile, altrimenti non potrà concretarsi. Qualcuno ha già iniziato a farlo e spetta ora ad altri proseguire iniziando a sistemare gli edifici esistenti. In altre regioni italiane e in altre parti del mondo lo stanno già facendo con successo da molti anni. In Italia alcune ditte producono già da alcuni anni mattoni e intonaci in terra.
Uno degli scopi del nostro libro è proprio quello di far conoscere queste tecniche e gli edifici con esse realizzati proprio per riuscire a guardare consapevolmente al futuro per progettare e costruire edifici adatti alle esigenze attuali, attualizzando le tecniche antiche con le nuove tecnologie. È solo così che si può pensare di affrontare e risolvere la crisi ambientale dovuta anche al profondo sfruttamento di risorse non rinnovabili.
‘Bisogna ristabilire un’armonia antica’, dato che molti ‘problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto’ e la ‘cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato’ e non bisogna aspettare di vedere gli aspetti irreversibili sulla salute per prendere misure riguardo all’inquinamento e ai cambiamenti climatici: è quanto scrive papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si.
Bisogna, dunque, costruire rispettando l’ambiente, ottimizzando l’uso delle risorse in tutta la filiera dei materiali e degli edifici, dalla loro nascita alla loro morte. Per far questo bisogna usare materiali e tecnologie che riducano gli sprechi e siano i più possibili riciclabili e non inquinanti.
Questa è l’architettura del futuro, di questo si occupa l’architettura ‘bioecologica’, più comunemente definita bioarchitettura”.