“Recentemente percorrendo la ‘ferrata’ da Madrisio a Udine, mi sono accorta che c’era qualcosa di diverso, ma non capivo cosa. Alla fine ho realizzato che avevano tagliato i pioppi. Ecco, per le imprese che riempiono un territorio accade la stessa cosa. Ti accorgi che esistono quando non ci sono più”. Sono le parole che utilizza Serenella Antoniazzi – imprenditrice del settore legno, residente a Ronchis, a capo di un’azienda a Concordia Sagittaria con 8 dipendenti – per spiegare la crisi economica che si è abbattuta sulle aziende italiane (e sulla sua testa) dal 2008 in poi. E va avanti: “Gli alberi, quando cadono, perlomeno fanno rumore. Poi ci sono le foglie: quando vengono giù non ci si accorge quasi di nulla. I grandi alberi sono colossi imprenditoriali, le foglie siamo noi terzisti. E quando le piccole aziende chiudono, non sparisce un capannone, ma un mondo”.
Una data indelebile
La storia che sta alle spalle di Serenella Antoniazzi porta dentro le stimmate della sofferenza. Morale, psicologica, fisica. Antoniazzi, cresce nell’azienda paterna, ne porta avanti i valori, come un marea di casi simili in Italia. Arriva la crisi, in qualche modo tamponata. Poi la doccia gelata: un cliente che doveva una grossa somma, per un lavoro fatto, non paga. Ma lo fa con una ‘furbata’.
“Il 9 aprile del 2013 quella ditta è fallita. Il giorno dopo ha riaperto con un altro nome. Grazie a leggi e meccanismi che tutelano di più chi struttura la propria azienda e la pilota verso un fallimento per salvare se stessa, mettendo in ginocchio i fornitori”. Così è successo a Serenella. “Le banche premono, il fatturato cala, la pressione fiscale aumenta. Ti senti solo. Inadatto. Fallito. Sai che non hai colpe, perché i tuoi debiti sono frutto degli imbrogli di altri. Conosci i tuoi dipendenti uno a uno, le loro storie, le loro famiglie, ci sei cresciuto insieme. Vedi che soffrono se non li puoi pagare. Io ho scelto di dare loro lo stipendio, facendo debiti con l’Erario. Per questo sono finita in un vortice e a un passo dal fallimento. E quei debiti, essendo la mia una Snc (società a nome comune, ndr) me li porterò dietro per sempre e li lascerò in eredità ai miei figli. Tutto perché manca una tutela per casi come questo, di cui è piena l’Italia. Gli imprenditori che si uccidono non sono depressi: sono disperati”.
Serenella vive un vero incubo e pensa addirittura di farla finita. Un altro imprenditore apprende la sua storia dai giornali e le corre in aiuto, facendola desistere dai suoi intenti. Allora lei non si arrende. Denuncia tutto. “Perché bisogna buttare giù il muro di omertà. Io l’ho fatto e vorrei che i tanti imprenditori che soffrono in silenzio facessero altrettanto. Ma anche lo Stato dovrebbe essere più comprensivo con chi ha fatto di tutto per creare posti di lavoro ed è finito nei guai a causa d’altri”.
Stato di (dis)grazia
Rompere il sistema. Portare a galla il marcio che fa danno alle aziende sane e alla società. E’ l’obiettivo della battaglia di questa imprenditrice coraggiosa. Ma a rimetterci c’è anche l’Erario, che finisce tra i ‘truffati’. “Per assurdo – spiega Antoniazzi – i mancati pagamenti verso lo Stato inaridiscono non solo le casse erariali, ma tutto il tessuto sociale perché i servizi, senza fondi, vengono meno. Se lo Stato abbonasse il mio debito permettendomi di andare avanti e mantenere i posti di lavoro, avrebbe solo da guadagnare, perché i miei operai invece di gravare sugli istituti previdenziali con cassa integrazione e mobilità, passando poi nel limbo della disoccupazione, avrebbero il loro stipendio che immetterebbero nel mercato. Se chiudo, oltre ad aver perso quella goccia mensile che riesco a versare, si ritroverebbero il peso di otto dipendenti sulle spalle. Oggi con fatica puoi far fronte al presente, ma non puoi accollarti anche il pregresso accumulato per colpa dei mancati pagamenti. Questo è il senso della richiesta di aiuto. Rafforza il presente, e non distruggere, se vuoi avere un futuro”.
La luce in fondo al tunnel non è del tutto raggiunta. “Non sono ancora salva – chiarisce -, non lo è la mia azienda. Ogni giorno bisogna lottare. Il mercato è fermo. Non ci sono gru che svettano o sono poche. Dietro l’edilizia c’è un mondo fatto di piccoli fornitori che tenta di sopravvivere. E poi si sentono i casi quotidiani di evasioni fiscali milionarie, Panama Papers, ministri coinvolti in vicende torbide. Ed è li che ti domandi quanto conti davvero. Come persona, prima che come imprenditore”.
Un fondo da 10 milioni, ma è ancora bloccato
La storia e il coraggio di Serenella Antoniazzi, che da un anno gira l’Italia raccontando la sua vicenda, hanno prodotto un risultato molto importante. Grazie alla sua testimonianza e alla proposta della Confartigianato di San Donà di Piave che lo ha suggerito con un documento a firma di Ildebrando Lava, è nato un apposito fondo nazionale, che porta il nome di ‘Serenella’, destinato alle aziende vittime di mancati pagamenti. Non per tutte. Solo per quelle che hanno intrapreso la via giudiziaria con atto di denuncia querela non archiviata e quindi ammessa dal Tribunale, per reati di truffa aggravata, insolvenza fraudolenta, estorsione, false comunicazioni sociali a danno dei creditori o reati similari. Insomma, quelle che denunciano i furbi che mandano gambe all’aria aziende sostanzialmente sane, strutturando un percorso che porta al famigerato concordato e/o fallimento pilotato, e quindi, in un sol colpo, eliminano i propri debiti scaricandoli sui fornitori. Lo scorso novembre è stato approvato in Commissione Bilancio l’emendamento alla legge di Stabilità, a prima firma del senatore Mario Dalla Tor (Area popolare Ncd-Ucd), che prevede l’istituzione presso il Ministero dello Sviluppo economico di un Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018. Al Fondo potranno accedere quelle imprese che risultano parti offese in un procedimento penale dalla data del primo gennaio 2016. A disposizione ci sono le somme rubate, da restituire in un tempo medio lungo (10/15anni), possibilmente a tasso zero e con una parte a fondo perduto. Unico neo, si può accedere solo una volta nella vita. Tutto bene, dunque? Macché, siamo in Italia. Al momento mancano ancora i decreti attuativi, ovvero le istruzioni per come accedere al fondo. In pratica, i soldi ci sono ma restano bloccati.
Intanto, anche la Regione Veneto ha dato vita a un fondo simile, che potrebbe essere reso accessibile a breve. Nulla di specifico, invece, per la Regione Friuli Venezia Giulia, anche se il vuoto meriterebbe di essere colmato.