Sono passati quarant’anni dal terremoto che colpì al cuore il Friuli, squarciandolo. In chi ha vissuto personalmente quel tragico 6 maggio 1976 e in coloro che sono cresciuti all’ombra di un ricordo così importante – a tratti quasi ingombrante – il ricordo della paura, la desolazione e il dolore sono ancora vividi.
La prima scossa, poi alle 21 solo macerie e distruzione
Alle 20,59 l’Osservatorio Geofisico di Trieste quel giorno registrò una prima forte scossa di “avvertimento”. La gente, spaventata, fece appena in tempo a realizzare che si era trattato di una scossa di terremoto e a lasciare frettolosamente le proprie abitazioni che la terra tremò di nuovo, una seconda volta e ancora più forte. Erano le 21.
La scossa ‘fatale’, quella che portò ovunque morte e distruzione, paura e tragedia, raggiunse i 6,5 gradi di magnitudo della Scala Richter, pari a all’ottavo/decimo grado della scala Mercalli. La forza devastante e il boato sordo e cupo del terremoto si fecero sentire per 57, interminabili, secondi. Poi, quella sera, la terra tremò ancora e lo fece per molti mesi fino alle due scosse dell’11 e del 15 settembre dello stesso anno, che diedero il colpo di grazia a un popolo già piegato tragicamente dagli eventi di maggio, che aveva appena cominciato a sperare.
Quotidianità spezzata
Quel giovedì la gente ricorda ancora come facesse caldo, un caldo soffocante, innaturale e quasi estivo. Nulla, però, lasciava presagire quanto sarebbe successo quella sera. La gente era seduta sul divano, davanti alla tv, molti già in pigiama, i più piccoli pronti per la nanna, altri si trovavano a tavola per la cena, mentre altri ancora erano appena partiti per andare al lavoro nelle fabbriche. Storie, insomma, di ordinaria quotidianità bruciate da un evento che di ordinario ha ben poco, destinato a segnare per sempre la memoria del popolo friulano.
Un orco per spiegare ai bambini la tragedia
L’orrore e la tragedia appaiono subito chiari a chi attorno a sé vede solo e soltanto macerie e disperazione. Il silenzio squarciato da pianti e grida e subito a scavare, al buio, tra le macerie. Il Friuli pagherà con 989 vite il suo tributo all’Orcolat, figura quasi mitologica utilizzata dopo il sisma per raccontare ai bambini la tragedia del terremoto, un orco cattivo che al suo risveglio distrugge la terrà su cui era adagiato. In tutto sono 137 i Comuni colpiti, 600 mila le persone coinvolte, quasi mille morti tra cui numerosi bambini, 60 mila persone rimaste senza abitazione e migliaia di disoccupati.
Ma è con le prime luci dell’alba che la tragedia appare in tutta la sua drammaticità agli occhi di soccorritori e abitanti. La polvere bianca delle macerie, nascondeva mortifera i poveri resti di persone, case, auto, oggetti, frammenti di vita scaraventati sulle strade. L’aria era irrespirabile, l’orrore davanti agli occhi: ovunque macerie e distruzione, morte e neanche più lacrime per piangere.
Nonostante tutto si trovò la forza di continuare a scavare, a mani nude, sotto le macerie, alla disperata ricerca di sopravvissuti.
I friulani, feriti nel fisico e nello spirito, ma soprattutto determinati a non lasciarsi sopraffare, mostrando al mondo intero la propria dignità, fecero il resto. Si fecero forza e, fatalisti, ricominciarono a vivere, portando avanti quel modello di ricostruzione di cui ancora oggi si parla, ma senza retorica.
Le notti in tenda
La notte del 6 maggio fu soltanto la prima di molte passate all’addiaccio per i friulani. C’era chi aveva perso la casa, ma soprattutto c’era la paura che una nuova scossa. Si cominciò a dormire nelle tende e così fu per tanto tempo, settimane, mesi.
Aiuti da tutto il mondo, ma anche dai giovani scout
In soccorso rientrarono nella Piccola Patria i friulani che vivevano e lavoravano all’estero, ma non mancarono aiuti da ogni parte d’Italia. Basti pensare che tra maggio e ottobre, settemila giovani scout si alternarono nei cinque centri affiliati all’Agesci presenti sul territorio, prestando assistenza ai terremotati, allestendo le tende, occupandosi del servizio mensa, dei bambini e dell’animazione scolastica, e della distribuzione del materiale. L’esercito italiano, ma anche quello statunitense, canadese, francese, austriaco e tedesco si adoperarono per consentire al Friuli di ritornare al più presto alla “normalità” e cominciare a ricostruire. La solidarietà è stata motore di un più ampio progetto di ricostruzione, che ha permesso alle popolazioni colpite di riappropriarsi della normalità, di superare il dolore e la paura.
Friuli, una Fenice risorta
A distanza di 40 anni da quella tragica sera, rimangono, trasmessi di generazione in generazione quasi fossero parte del corredo genetico, la paura atavica dell’Orcolat e il ricordo indelebile di un evento spartiacque che, anche se non direttamente vissuto, ha segnato la storia di un intero popolo.
Il Friuli terremotato, moderna Fenice, non ha perso tempo, e la macchina dei soccorsi prima e della ricostruzione poi hanno scandito la storia della nostra regione e rinvigorito l’orgoglio friulano, rafforzando ulteriormente quel legame storicamente molto sentito, viscerale, con la propria terra, madre e matrigna allo stesso tempo.