Riproponiamo l’intervista realizzata dal nostro settimanale pochi giorni prima delle elezioni a Debora Serracchiani.
“Il Friuli che conosco è un modello per l’Italia intera. Non può permettersi altri 5 anni di nulla”.
Mentre percorre in lungo e in largo il Friuli per cinque incontri al giorno tra mercati, categorie, precari ed eccellenze a prova di crisi, Debora Serracchiani riflette con noi su una campagna elettorale che ha un solo mantra: “tornare ad essere speciali”, per riprendere uno smalto e un’autonomia che oggi il Friuli Venezia Giulia rischia di perdere.
Da quando lei ha lanciato la sua candidatura il contesto è molto cambiato. L’incerto esito delle politiche e gli scandali regionali l’hanno fatta pentire della sua scelta?
“No, nella maniera più assoluta. Ho accettato di candidarmi per dare un colpo di spugna a un sistema che va abbattuto e ricostruito. Le recenti vicende giudiziarie, dunque, mi hanno convinta ancora di più della necessità di giocare in prima persona, e vincere, questa partita”.
La sua campagna prosegue tra bagni di folla come quello al Giovanni da Udine e incontri tematici sul territorio. Quali sorprese in positivo e in negativo le sta regalando quest’esperienza?
“Grandi eventi come quello del Giovanni da Udine sono importanti ma il cuore della mia campagna elettorale è il dialogo con i cittadini, i lavoratori, gli imprenditori, le categorie, le associazioni, i sindacati che ha caratterizzato gli ultimi mesi. Di negativo ci sono gli effetti della crisi, che si toccano con mano negli incontri. Di positivo, c’è la tenacia della gente”.
Prima delle politiche sembrava che avrebbe dovuto guardarsi sia dai “montiani” che dalla sinistra radicale, che però non avranno candidati alle regionali. Come recuperare comunque i consensi del loro elettorato?
“Sin da subito ho lavorato su un progetto di ampio respiro che coinvolgesse la società civile. Poi mi sono confrontata con le altre forze politiche per trovare delle convergenze attorno a queste idee. Il risultato è un progetto di buon governo tuttora aperto a tutti coloro che ne condividono contenuti e obiettivi”.
Veniamo ai temi. Su questioni come le grandi infrastrutture, quale sarà il criterio per arrivare a scegliere ma anche a decidere?
“Per decidere sulle opere valuteremo l’utilità per lo sviluppo del nostro sistema economico, per questa parte d’Italia e per tutti i Paesi interessati, la sostenibilità economica ed ambientale”.
Sul fronte dell’emergenza lavoro lei ha indicato la strada del reddito di cittadinanza. E’ compatibile con l’attuale finanza regionale? E in che modo si può far ripartire l’economia senza creare debito?
“L’economia ripartirà se saremo capaci di spender meglio le risorse a disposizione. In 5 anni abbiamo perso oltre la metà dei fondi europei e siamo rimasti vittime dell’accordo Tondo-Tremonti che regala ogni anno a Roma 370 milioni di euro. Eliminare enti inutili, riformare la burocrazia regionale, aggregare i Comuni e superare le Province: solo così saremo in grado di garantire più efficienza e di recuperare risorse da investire anche sul reddito di cittadinanza. Una misura necessaria per dare stabilità di vita ai nostri giovani e ai lavoratori che si trovano a combattere con la piaga della precarietà”.
Promozione turistica. Come fare meglio di quanto fatto finora?
“Turismo Fvg deve essere usata sfruttando le competenze interne esistenti come strumento tecnico e specializzato al servizio del comparto e non, come la giunta Tondo ha fatto, come strumento di consenso politico. In questa ottica devono rientrare regole di assoluta trasparenza sui finanziamenti erogati”.
Lei ha sempre detto che il principale deficit della giunta Tondo è stato la mancanza di pianificazione in settori come quello energetico o urbanistico. Servirà un’intera legislatura a colmare questo gap?
“Servirà la volontà di decidere coinvolgendo la comunità regionale. E questo è mancato fino a oggi, laddove per non scontentare nessuno si è preferito non far nulla. E servirà anche una squadra di assessori valida e stabile. I continui cambi della giunta Tondo sono un costo e un elemento di debolezza che non ci possiamo permettere.”
Per i primi cento giorni lei ha indicato cinque riforme cardinali. Da quale partire?
“Partirò dal taglio dei costi del Consiglio Regionale. E’ la premessa per ridare credibilità a un sistema politico minato anche dalle vicende delle ultime settimane. A ruota devono venire la rinegoziazione del Patto di stabilità, per ridare fiato alle imprese, e il taglio alla burocrazia puntando sullo sportello unico per il cittadino e le attività produttive”.
Walter Tomada
22 aprile 2013