Che cos’è l’integrazione? Da cosa sono dettati i processi d’inserimento? Come si può velocizzare questo percorso nel caso di uno straniero?
Per rispondere a queste domande, sono stati chiamati in aiuto tre amici, dei quali si presentano brevemente le storie.
Il primo è Suraj, un ragazzo di quasi 13 anni, che però ne dimostra qualcuno in più, sia per la prestanza fisica, sia per l’acutezza che lo distingue dagli altri coetanei. È un ragazzo allegro, solare e appunto molto sveglio, che parla così bene l’italiano da non credere che non sia nato in Italia. Invece no, Suraj è arrivato in Italia solo nel 2011, quando è stato adottato da una famiglia friulana, con cui ora vive e alla quale è molto legato.
Il secondo, Adbelkader, si fa chiamare Kadi ed è nato in Italia, dove da sempre vive assieme a sua mamma, di origini polacche, suo padre, di origini algerine, e la sorellina. Frequenta il terzo anno delle scuole superiori e si definisce un tipo tranquillo e sereno, anche molto educato.
Infine, c’è P., anch’egli nato in Italia, ma che per alcuni anni ha vissuto in Ghana, Paese di origine dei suoi genitori. P. è tornato a Udine all’ età di 10 anni, quando ha iniziato anche a frequentare la scuola italiana.
Armi contro l’emarginazione
Conoscendo questi ragazzi, Suraj, Adbelkader e P. da vicino, è stato possibile dire che sicuramente sono esempi di buona integrazione, sia grazie all’apertura propria e delle loro famiglie, sia a quella degli ambienti in cui sono inseriti, che, come ritengono anche loro, sono sicuramente i requisiti fondamentali per combattere l’emarginazione e la discriminazione.
Mai i problemi comunque non mancano. Non sempre accade che l’inserimento riesca e in questi casi è importante che ci sia una figura di mediazione e dialogo, che riduca le distanze tra la nostra società e chi non ne fa ancora completamente parte.
Un altro fattore che può permettere l’inserimento di un individuo straniero nella nostra società è l’acquisizione della cittadinanza, che, soprattutto tra i più giovani, conferisce una sensazione di appartenenza che spinge all’apertura verso la comunità in modo molto più spontaneo.
Questo tema è molto complicato, ma analizzando la storia di questi giovani, si può capire come non sempre sia così semplice acquisire la cittadinanza. Infatti, se per i primi due è stato “veloce”, il primo perché adottato da genitori italiani e il secondo perché uno dei due genitori è comunitario e possessore della cittadinanza, per il terzo è stato un processo un po’ più difficile.
P., pur essendo nato in Italia e averci vissuto per i primi due anni di vita, non ha potuto ricevere subito lòa cittadinanza e se non fosse stato per una articolata combinazione di specificità, non l’avrebbe potuta ottenere fino ai 18 anni, cosa che, invece, è accaduta ad alcuni suoi amici.
Ovviamente, con queste considerazioni non si vuole dire che si debba dare la cittadinanza italiana a chiunque la richieda, ma che si possa fare qualcosa per velocizzarla e fare in modo che chi nasce in Italia non debba aspettare 18 anni per sentirsi riconosciuto dallo Stato e che anche chi arriva in Italia già grandicello, compiendo un percorso di studio, la possa ricevere, anche se i genitori non rispondono a determinati requisiti.
Francesco Cojutti, studente del liceo scientifico Marinelli di Udine