Franco Dri, 73 anni all’epoca dei fatti, il 26 gennaio 2015 armato della sua pistola, regolarmente detenuta, fece fuoco contro il figlio Federico, 47 anni, al termine di un litigio. L’uomo, che da qualche tempo era ritornato a vivere nella casa dei genitori a Fiume Veneto, era morto al termine di un delicato intervento chirurgico all’ospedale di Pordenone per la rimozione del proiettile.
All’origine della tragedia, avvenuta davanti agli occhi impotenti della madre e moglie rispettivamente della vittima e dell’assassino, i problemi di droga del 47enne, che hanno minato per anni l’equilibrio famigliare e compromesso i rapporti.
Oggi, quel padre, chiede la grazia al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo che il Tribunale di sorveglianza di Trieste gli ha negato i domiciliari. Il 76enne, infatti, dopo aver scontato una parte della pena ai domiciliari, da ottobre 2017 si trova in carcere per scontare la pena residua di cinque anni, due mesi e 17 giorni di reclusione.
La Corte d’appello aveva riconosciuto a Dri le attenuanti generiche e la reazione per accumulo, tanto che in primo grado era stata chiesta una condanna non superiore a 8 anni. Adesso l’ultima parola spetta al Capo dello Stato.