Cento anni fa, il 23 giugno 1916, avvenne quella che la storia riporta come ‘la decimazione di Cercivento’, conosciuta in Friuli come ‘I fusilâz di Çurçuvint’. Un intero plotone di alpini dell’Ottavo Reggimento, appartenenti alla 109a compagnia del Battaglione Monte Arvenis, allora operante nei pressi del passo di Monte Croce Carnico, fu accusato dal Comandante di Compagnia, il capitano Armando Ciofi, e dal suo vice tenente Pietro Pasinetti, d’insubordinazione e ribellione.
Il motivo: si erano rifiutati di eseguire un ordine – conquistare la cima est della Creta di Collinetta – che sarebbe stato un inutile suicidio. Dopo un veloce processo-farsa, in base all’articolo 114 del codice penale militare (rivolta in faccia al nemico), per quattro alpini le accuse del tribunale si commutarono in condanne a morte, per altri ventinove a 145 anni di carcere complessivi e i rimanenti in assoluzioni. Le esecuzioni vennero eseguite davanti al muro di cinta del piccolo cimitero di Cercivento.
Non narrato nella storia ufficiale del Primo conflitto mondiale, ma tramandato nella memoria orale della Carnia, il fatto storico – che si inserisce nel discutibile comportamento di alcuni graduati dell’Esercito italiano durante la Grande Guerra – ha ispirato alcuni anni fa una rappresentazione teatrale intitolata semplicemente ‘Cercivento’. L’udinese Carlo Tolazzi ha scritto per due attori del Teatro Club, Riccardo Maranzana e Massimo Somaglino, una pièce partita dal ritrovamento casuale, da parte di un ricercatore universitario, Paolo Resquitta, di un faldone con gli atti del processo, finito nientemeno che a Parigi!
Dopo il mondo dello spettacolo e della cultura, si è mossa anche la politica. Una proposta di legge approvata dalla Camera con 331 sì, nessun contrario ed un solo astenuto, firmata lo scorso anno da decine di parlamentari, puntava a riabilitare i circa mille militari italiani condannati a morte nel corso della Prima guerra mondiale per reati di diserzione e per i reati in servizio, come lo sbandamento, e i fatti di disobbedienza, ancorché collettiva.
Attorno alla vicenda degli alpini fucilati il 1° luglio 1916 si sono creati in regione un comitato e un vasto movimento di opinione per restituire l’onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti furono passati per le armi, anche senza processo, facendo ricorso alla intollerabile pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori. La legge, come spesso accade, attende ancora la ratifica da parte del Senato. Il secondo articolo della proposta di legge prevede addirittura di affiggere in un’ala del Vittoriano in Roma una targa nella quale la Repubblica rende evidente la sua volontà di chiedere il perdono di questi caduti.
In totale, i soldati italiani processati durante la Grande guerra furono 262.481, cui si aggiunsero 61.927 civili e 1.119 prigionieri di guerra. La percentuale di condanne si aggira intorno al 60 per cento del numero degli imputati: 4.028 si conclusero con la condanna alla pena capitale, di cui 2.967 con gli imputati contumaci e 1.061 al termine di un contraddittorio. Le sentenze eseguite furono 750, ma il numero dei fucilati non si esaurisce con questa cifra, perché furono circa 350 gli uomini giustiziati, anche sommariamente o, come nel caso di Cercivento.
Nel frattempo, la ricerca della verità prosegue: sabato 25 al Museo della Grande Guerra di Ragogna, alle 18, sarà presentata la nuova edizione del volume di Diego Carpenedo ‘La compagnia fucilati’, pubblicato da La Nuova Base. Marco Pascoli e l’editore Vittorio Zanon commenteranno, alla presenza dell’autore, il romanzo storico sui quattro alpini friulani fucilati, per i quali è stata chiesta, semplicemente, la restituzione dell’onore.