“Eccolo il terrorista dell’ISIS che prepara il prossimo attentato! Tagliati quel barbone: nemmeno i talebani in Pakistan tenevano barbe come la tua!”
Mei Lin sollevò appena lo sguardo dalla macchina per fare il caffè. Da quando Domenico, detto l’Inglese, si era fatto crescere la barba non passava giorno che Ahmed non lo prendesse in giro in qualche modo.
“Certo Ahmed, sto proprio preparando un attentato a Talmassons: ho in macchina la scorta di miccette avanzate da Capodanno. Sarà una ecatombe di Santi quando le farò esplodere sotto alle finestre delle vecchiette, stanotte”.
Mei Lin appoggiò sul bancone il caffè ristretto di Domenico. Ahmed, come tutte le mattine, si prese la sua brioche e la tazzina, prima di andarsi a sedere al tavolo e porgere il caffè all’amico barbuto talebano, che si stava già leggendo il quotidiano prima di andare al lavoro.
Lo stesso rituale tutti i giorni da quindici anni, da prima ancora che Mei Lin ereditasse il Bar Italia.
“Ma, è questo il Bar Italia? Gestito da una cinese anche qui?” La domanda, sardonica e a voce alta, era stata fatta da una signora di mezza età, benvestita, che Mei Lin non aveva mai visto e che era appena entrata come un tornado nel bar. Probabilmente veniva da un’altra città e si era persa nel labirinto di sensi unici e piazze incanalate in direzione antioraria. Anche l’accento non era familiare alla ragazza, abituata com’era alla cantilena di suo padre e dei suoi avventori friulani.
Mei Lin stava per rispondere con la sua peggiore imitazione di accento stereotipato cinese, con le elle al posto delle erre, ma fu anticipata da Ahmed, che ovviamente non aspettava altro: “Sì signora, ormai questi immigrati ci rubano il lavoro. Dobbiamo persino stare attenti ai talebani, guardi un po’ questo che razza di barba che si è fatto crescere. È integralizzato, non vede? Non siamo più padroni a casa nostra”.
La signora rimase spiazzata qualche secondo, ma riuscì a ricomporsi: “Va bene, non importa”, tagliò corto, “Per favore signorina, può farmi un gocciato in bi? Sono di fretta, ma senza un buon caffè al mattino non ingrano la giornata”.
“Eh, sarà difficile avere un caffè buono dopo averlo rovinato con il latte” intervenne Domenico. Ahmed non si sbagliava quando diceva che Domenico era un integralista. Un integralista del caffè. “Mei Lin, la signora qui ti sta chiedendo un caffè servito in bicchiere con una goccia di latte. Puoi usare i bicchierini da grappa. A Trieste usano rovinare così le gioie della vita”.
La signora evidentemente volava molto più in alto di quelle basse insinuazioni, perché la sua unica reazione fu accennare un sorrisino, prima di rivolgersi ancora a Mei Lin: “Son di Trieste, ma ho trovato lavoro qui e mi dovrò trasferire tra poco: abiterò qui vicino. Lei è qui da tanto?”
Mei Lin fece spallucce e rinunciò alla sceneggiata con gli accenti finti: “Io sono di Udine, ci sono nata e cresciuta.”
Intervenne di nuovo l’Inglese: “non le dia retta: è chiaro che non può essere di qui. È mezza cinese! Qui l’unico autoctono sono io: costretto tutti i giorni a insegnare la vera friulanità a pakistani, mezze cinesi, e adesso anche alle signore triestine immigrate”.
Domenico iniziò a sghignazzare per la balla che aveva sparato prima ancora che si levasse il coro di proteste. Mei Lin non poteva lasciargliela passare: “Ma cosa stai dicendo? Sei il più immigrato di tutti qui: ti chiamano l’Inglese perché sei andato a fare l’immigrato pure a Londra! Signora, non lo stia a sentire: suo nonno era emigrato in America, suo padre è tornato qui in Italia, e lui è di Pordenone! Ci ha impiegato quindici anni solo per capire cosa vuol dire che il mio caffè è ‘alc e cè’!”
La signora stava convenientemente nascondendo il suo sorrisino nel bicchiere da grappa riempito con il caffè gocciato. Quando lo riappoggiò sul bancone era illuminato da una espressione stupefatta.
“’Alc e cè’ vuole dire buono? Perché questo caffè è squisito”.
“Il migliore in città, signora”.
Il Friuli e la Fondazione Pordenonelegge, attraverso i laboratori di Pordenonescrive coordinati da Alberto Garlini, danno vita al concorso di racconti su 5 temi: Cibo e vino; Crisi; Immigrazione; Futuro; Amore e social network. I lettori possono partecipare inviando un racconto (max 4.000 battute spazi inclusi) a [email protected]
entro il 27 luglio (oggetto: concorso racconti).
Le opere migliori saranno pubblicate. A settembre, si potranno votare su ilfriuli.it.