La sua vita è stata avvolta nel mistero fin dopo la morte. Come lo scrittore J.D. Salinger, sparito dalla circolazione dopo il capolavoro Il giovane Salinger, o meglio, come la poetessa Emily Dickinson, che scrisse le sue poesie senza mai pubblicarle, la fotografa Vivian Maier (New York, 1926–Chicago, 2009) è stata un’antesignana della cosiddetta street photography, anche se della sua attività artistica si è saputo ben poco fino alla sua scomparsa, 10 anni fa.
Come in ‘affari al buio’
Il merito è di John Maloof, giovane figlio di un rigattiere, che – come in una puntata di una serie Tv Usa, tipo Affari al buio -, nel 2007 comprò in blocco per 380 dollari a un’asta il contenuto di un box con gli oggetti più disparati, espropriati a una donna che aveva smesso di pagare l’affitto. Mettendo ordine tra le cianfrusaglie, trovò una cassa contenente più di 120 mila negativi, filmati Super 8mm e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune fotografie e centinaia di rullini non sviluppati. Dopo averne stampate alcune e averle pubblicate su Flickr, le foto divennero virali e a quel punto il fortunato Maloof, a sua volta fotografo per passione, iniziò a indagare sulla donna che aveva scattato quelle fotografie.
I segreti in 70 autoritratti
Al Magazzino delle idee di Trieste, l’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale cerca di svelarne tutti i segreti (da sabato 20 luglio e fino al 22 settembre) con la mostra Vivian Maier. The self-portrait and its double curata da Anne Morin di Chroma Photography: 70 autoritratti in bianco e nero e a colori che raccontano una vita misteriosa, ma anche come l’artista si vedeva e percepiva il mondo che la circondava. Per la prima volta in Italia, saranno esposte anche 11 fotografie a colori realizzate dopo gli Anni Sessanta, oltre a filmini in Super 8 girati dalla stessa artista e il docu-film Finding Vivian Maier diretto da Maloof nel 2013.
La ‘tata’ con l’hobby del clic
Figlia di genitori separati, trasferita in giovane età in Francia fino ai 12 anni, Vivian Maier fu governante e bambinaia per oltre quarant’anni. Ma l’hobby della ‘tata’, per tutta la sua vita, fu la fotografia, realizzata con una Rolleiflex e una Leica per riprodurre la cronaca emotiva della realtà quotidiana. I soggetti delle sue fotografie sono persone che incontra nei quartieri degradati delle città, frammenti di una realtà caotica che pullula di vita, istanti catturati nella loro semplice spontaneità. Molte foto testimoniano i viaggi dell’artista in giro per il mondo, con uno sguardo meravigliato e incuriosito sulla società contemporanea.
Alla ricerca dell’identità
Nella serie di autoritratti esposti al Magazzino delle Idee, l’artista si ritrae su superfici riflettenti, specchi o vetrine di negozi. Il suo interesse per l’autoritratto è più che altro una disperata ricerca della propria identità: produce discretamente prove della sua presenza in un mondo che sembra non avere un posto per lei. La caratteristica ricorrente, diventata poi una firma nei suoi autoritratti, è l’ombra: quella silhouette il cui tratto principale è essere attaccata al corpo, una copia in negativo che ha la capacità di rendere presente ciò che è assente. Sebbene l’ombra dimostri l’esistenza di un soggetto, allo stesso tempo ne annulla la presenza: all’interno di questa dualità, Vivian Maier gioca con il ‘sé’ fino al punto di scomparire e ricomparire nel suo doppio, riconoscendo forse che l’autoritratto è un “intervento in terza persona che dimostra la coesistenza della presenza e della sua assenza”.