Doppia installazione in regione per la terza edizione della rassegna artistica e culturale B#Side War, ideata da IoDeposito Ong e promossa attraverso numerosi eventi nazionali ed internazionali quali mostre d’arte e installazioni artistiche, performance conferenze, progetti di ricerca e pubblicazioni.
IoDeposito Ong, in collaborazione con l’associazione Età dell’Acquario e il patrocinio del Comune di Tarvisio, presenta Panoptico (PAN-ὀπτικος), installazione di sound art dell’artista Greta Lusoli, nel suggestivo sito di Forte del Lago del Predil. Organizzata con il sostegno della Regione e il patrocinio dell’Unesco, l’opera sarà fruibile gratuitamente dal 29 al 30 luglio, dalle 14 alle 18. L’evento rientra nell’ambito
In un’Europa che cento anni fa si configurava come una grande prigione a cielo aperto, quasi 15 milioni di persone vivevano intrappolate in carceri di guerra inumane. A fianco a loro, altrettanti civili soccombevano tra campi di rifugiati, campi d’evacuazione o tra le propria mura domestiche, prigionieri di una realtà di distruzione e di privazione.
L’opera Panoptico (PAN-ὀπτικος) si relaziona con quel terribile scenario di guerra tentando di evocare sonoramente (ricostruendola nella mente dell’uditore) l’angosciosa architettura di prigione ideata dal filosofo e giurista J. Bentham alla fine del 18° secolo.
Concepita per rendere più efficienti, economiche e sorvegliabili le carceri, la struttura di Bentham permette a un singolo sorvegliante di controllare contemporaneamente tutti i detenuti pur rimanendo fermo al centro dell’edificio, grazie alla dislocazione che sviluppa le celle ad anello attorno allo spazio centrale.
Queste celle divennero dunque trasparenti, comportando la distruzione della privacy dei prigionieri: la protezione della loro intimità (e della loro identità più profonda) svanisce quindi del tutto, contribuendo a un pericoloso processo di oggettualizzazione e de-umanizzazione del prigioniero.
Per evocare la crudele architettura del PAN-ὀπτικος, l’artista proietta verso il fruitore un suono vibrante, profondo, aspro e sgradevole, capace di evocare segnali d’allarme naturali e primordiali. Un suono emesso ogni 5 minuti e 53 secondi, derivato da una proporzione matematica e concettuale che divide i minuti contenuti in 365 giorni per il numero dei prigionieri che ogni anno muoiono vittime delle guerre.
L’intervento di arte pubblica della Lusoli offre molteplici piani di lettura, individuando diverse matrici intrinseche in un’opera tanto immateriale e invisibile, quanto emozionalmente complessa. Un ruolo importante gioca la scelta dei luoghi specifici in cui il suono viene proiettato e con i quali l’installazione si relaziona con naturale contiguità: la barriera naturale del lago del Predil divideva le fazioni e costringeva militi e civili a un freddo esilio montano, che li derubava non solo delle risorse alimentari ma anche, soprattutto, della loro libertà.
Negli stessi giorni e con gli stessi orari, nella a Fortezza di Chiusaforte sarà inaugurata ‘Prisoners’, opera concettuale di arte pubblica dell’artista Joshua Cesa, che dopo un intenso tour in diverse città italiane ed estere giunge in una delle location friulane più suggestive e storicamente importanti della regione.
Attraverso Prisoners, l’artista coinvolge lo spettatore a esplorare le tematiche legate alla prigionia, permettendo di interfacciarsi con una visione poli-focale della storia tra passato e presente. Prisoners nasce infatti dall’esigenza di indagare l’esperienza della prigionia in senso percettivo e, partendo dal vissuto storico della Grande Guerra, innesca una riflessione ‘sensoriale’ e contemporanea sull’idea della reclusione, invariabile implicazione di tutti i conflitti.
L’installazione è realizzata attraverso una serie di strutture cubiche poste a terra le quali, squadrate e monolitiche, che si aprono al dinamismo mostrando l’immagine di numerosi prigionieri che dal loro interno, disperati, cercano l’uscita. Un contenitore che si fa quindi metafora di tutte le reclusioni -non solo quelle dovute alle guerre conclamate – in un tempo in cui l’uomo è prigioniero soprattutto di se stesso.
“Prisoners – spiega Joshua Cesa riesce a farsi vera e propria esperienza artistica portando in sé due linguaggi apparentemente molto diversi: la fissità e la perfezione della figura geometrica dialoga e si relaziona col movimento disperato e primordiale di chi, nello schermo, sa di non potersi liberare”.
Inserita nella terra di confine dell’estremo Nord-est, l’opera dialoga in modo vibrante con le selvagge Alpi Giulie, dove i lineamenti di Italia, Slovenia e Austria si confondono condividendo un passato storico fatto di migrazioni forzate e di presidio bellico. I cubi di Prisoners diventano contenitore e contenuto e ciascun prigioniero, proprio come ciascun visitatore, è portatore di una propria storia: ogni prigione è diversa, ogni storia è diversa.