E’ stato presentato nella Sala Consiliare del Comune di Faedis, il progetto “Sclavanie”, a cura di Davide Degano, risultato di cinque anni di lavoro, durante i quali sono state fotografate diverse sfaccettature della vita dei villaggi di montagna tra il confine italiano e sloveno.
L’evento ha avuto un’ottima risposta di pubblico, sia per la promozione fatta, sia perché l’argomento riguarda queste terre e questa popolazione, sia perché Davide Degano in queste terre è nato e qui ha mantenuto forti e indissolubili legami. Legami che sono alla base della scelta di affrontare un lavoro tanto impegnativo e sfidante, quanto ricco di soddisfazione. “Gli abitanti dei borghi mi hanno aperto le loro case, mi ospitato alla loro tavola e si sono dimostrati molto collaborativi e desiderosi di raccontare”, ha ricordato Davide nel presentare la genesi e lo sviluppo del suo progetto.
LA PUBBLICAZIONE. Ora questo progetto diventerà una pubblicazione accessibile. Uno strumento di racconto, di divulgazione da condividere con le scuole, le biblioteche, gli abitanti e con quanti studiano e si interessano a queste tematiche. Il libro includerà circa 90 foto accompagnate da didascalie dettagliate e foto d’archivio e due saggi: l’antropologa Livia Maria Raccanello descriverà in un saggio la sua esperienza nel processo di rivitalizzazione del piccolo borgo montano di Stremiz; Michael Beismann, ricercatore indipendente e professore presso l’università di Innsbruck, analizzerà il fenomeno del ripopolamento nei piccoli borghi montani delle Alpi, focalizzando l’attenzione su alcuni casi virtuosi in Svizzera e Francia e confrontandoli con le problematiche ancora persistenti nei borghi italiani.
Durante la serata è stato introdotto anche il documentario nato grazie alle riprese dei luoghi visitati e delle persone intervistate, che verrà reso disponibile assieme alla pubblicazione.
L’incontro è stato promosso da Roberta Fattor, Consigliere e compaesana di Davide, che ha ricordato come “la memoria è una ricchezza inestimabile e tanto più è inestimabile questo lavoro che questa memoria raccoglie e tramanda. Ospitiamo quindi con molto piacere e orgoglio la presentazione del progetto di Davide”.
Ha commentato infine l’Assessore alla Cultura Simone Grando: “Il lavoro fotografico realizzato da Davide Degano diventa uno strumento a sostegno delle minoranze linguistiche e delle comunità di questi borghi di montagna, per aiutare la conoscenza, la trasmissione, la conservazione e la valorizzazione di tale diversità culturale”.
IL PROGETTO. Progetto che ha avuto inizio nel 2017, quando Davide incomincia a fotografare i luoghi della sua infanzia. Le prime foto vennero pubblicate nel 2018, in un progetto collettivo che prende il nome di “We Feed the World”, a cura di Cheryl Newman. Successivamente il progetto si è ampliato, fino a raccogliere più di 2.000 negativi. Nel 2019 il progetto viene presentato con una mostra “introduttiva” presso il palazzo regionale Oberdan, a Trieste. Successivamente si sono aggiunti l’antropologa Livia Raccanello e il ricercatore e docente austriaco Michael Biesmann. Negli anni il progetto è stato pubblicato su diverse riviste nazionali ed internazionali come ArtDOC, Icon Magazine e British Journal of Photography, venendo selezionato per il Paul Schuitema Award 2020 (con menzione d’onore) e vincendo Urbanautica Institute Award 2020 (sezione Antropologia e Territori).
SCLAVANIE: UNA SFIDA CULTURALE TRA LE MONTAGNE. Le zone alte delle Prealpi Giulie a ridosso del confine sloveno contavano, all’inizio del Novecento, più di 6.000 abitanti. Da allora queste terre prendono il nome di Sclavanie, termine che indicava appunto le origini Slave delle prime popolazioni che abitarono questi territori. Oggi giorno Sclavanie ha completamente cambiato il proprio significato, tanto da essere stato assorbito dalla lingua Friulana per indicare, in maniera talvolta dispregiativa, le persone che vivono prevalentemente nelle zone montane di confine e che hanno mantenuto ancora vive le loro radici slave.
L’ABBANDONO DEI BORGHI AL CONFINE. La tenace e impavida resilienza di queste genti ha subito, come in altre parti d’Italia, il fascino della vita moderna. Già nel 1800 ha avuto inizio un declino e uno spopolamento progressivo che prosegue ancora oggi come testimoniato dai censimenti Istat. Un trend nazionale che alimenta l’immagine della montagna come terra di solitudine e fatica. Solo una minoranza fortunata di aree montane pare rilanciarsi grazie al turismo di massa che trasforma paesaggi secolari e identità.
Davide Degano ha incontrato gli abitanti di questi minuscoli borghi semi abbandonati, ne ha raccolto la memoria, le storie, i paesaggi. Un viaggio che invita alla riflessione sul destino dell’Italia, composta al 70% da comuni con meno di 5.000 abitanti, circa il 20% della popolazione totale. Il fenomeno sociale dello spopolamento dei borghi montani ha minato la base per la trasmissione orale e la sopravvivenza di memoria e antiche tradizioni. Un patrimonio che, per quanto debole e assopito, risulta tuttavia presente.
Davide Degano, originario di Ronchis, frazione del Comune di Faedis, vive in Olanda, all’Aia, dove ha frequentato la Royal Academy of Arts, ma rimane fortemente legato alla sua terra di origine: “Ricordo come mio nonno, Giuseppe, mi raccontava storie sulla sua giovinezza, come quando fu catturato dalle truppe tedesche; riuscì a scappare e tornò a casa dalla Germania. Posso ancora sentire, attraverso l’eco delle sue parole, il forte senso di appartenenza, quando ha descritto la felicità nel rivedere in lontananza quelle montagne che l’hanno cresciuto. Esplorare i temi che più caratterizzano quest’area, come l’emigrazione e lo spopolamento dei piccoli borghi, diventa un’occasione per riflettere sui valori dell’abitare e del fare comunità. Che opportunità offrono questi territori? A quali vocazioni rispondono? Come possono competere nelle trame del globalismo metropolitano? La dimensione borgo montano non solo come strategia nostalgica di riposizionamento ma reale chance di rigenerazione di tessuti capaci di garantire occupazione e qualità del vivere come in pochi altri contesti”.
Per rallentare l’emorragia demografica di una trama insediativa diffusa e piccola, e quindi la fuga dei giovani verso le aree urbane, servono alternative concrete. Nell’arco alpino diversi studi documentano pratiche e strategie di rigenerazione locale. La scelta tra l’abbandono e una tenace resilienza attanaglia da sempre la gente di montagna. Una lotta impavida, ma anche impari perché non è facile rinunciare a più facili economie. Tuttavia più di qualcuno ha deciso ora di risalire i tornanti percorrendo un sentiero contrario alla recente storia. Un ritorno alla montagna.