Che l’esperienza di Cesare Lievi alla guida del teatro Giovanni da Udine non si fosse conclusa felicemente lo si era capito.
Lievi ha lasciato la direzione del Teatrone con l’amaro in bocca e non ha mai nascosto il proprio stato d’animo, i dubbi e i ripensamenti maturati nel corso di un’esperienza contrastata come quella udinese.
Sulle pagine de Il Piccolo, però, in un’intervista realizzata da Roberto Canziani in occasione della prima triestina dell’opera di cui Lievi è regista, ‘Il principe di Homburg‘, l’ex sovrintendente non ha risparmiato critiche e attacchi parlando della sua esperienza udinese.
Lievi parla a ruota libera di Udine “Una città che immaginavo aperta – dichiara nell’intervista -, disponibile al dialogo e alla cultura, si è dimostrata sorprendentemente chiusa, grezza, fortemente reazionaria. Al timone della città stanno anche persone intelligenti, naturalmente. Ma non prevalgono“.
Il difficile rapporto con il capoluogo friulano è ulteriormente sottolineato nel passaggio successivo in cui Lievi afferma che: “Il giudizio che do non riguarda solo la gestione del teatro, si estende a tutta una parte della città. Ripeto: reazionaria, grezza“.
“Mi sono trovato di fronte a una gestione che è folle – continua l’intervista de Il Piccolo -. Regna l’incompetenza. Manca un progetto culturale. Si vive alla giornata. Quel teatro è destinato alla rovina“.
Sembra che con il passare del tempo il livore e il rancore di Lievi invece di placarsi si siano inaspriti, spingendolo a esprimere giudizi molto duri.
Soltanto poche settimane fa in un’intervista rilasciata al nostro settimanale aveva usato toni meno aspri e più diplomatici nel raccontare il divorzio con il Teatrone.
Le dichiarazioni del 2010
Di tutt’altra tempra le parole con cui il sovrintendente aveva salutato il suo arrivo a Udine nel 2010, parlando di rilancio del Giovanni da Udine “come polo culturale, produzione di spettacoli, coinvolgimento dei giovani e attenzione alla drammaturgia friulana“.
In netto contrasto con quanto affermato al quotidiano giuliano, al tempo Lievi descriveva la realtà culturale regionale, e quindi anche udinese, “vivacissima” e non “grezza e reazionaria” come detto pochi giorni fa.
“Prima di cominciare ad affrontare la programmazione del teatro di Udine ho voluto rendermi conto di persona della situazione – affermava nel 2010 Lievi –. Così ho esaminato per bene la struttura, ho analizzato i dati riguardo l’affluenza in sala e gli abbonamenti, ho cercato di comprendere la realtà del territorio. E mi sono reso subito conto di un elemento importantissimo: la realtà culturale del Friuli Venezia Giulia è vivacissima. È un fatto di cui dovete andare molto fieri.
“Proprio da questo intendo partire con la mia gestione dello spazio del teatro. Vorrei che il Giovanni da Udine diventasse uno spazio aperto, utilizzato come punto di riferimento culturale da tutti e in cui tutta la cittadinanza si riconoscesse. Perciò il teatro dev’essere utilizzato il più possibile, non solo per gli spettacoli che occupano il palcoscenico, ma anche per una serie di iniziative collaterali, come conferenze, performance, incontri, che si possono collocare in luoghi e spazi non convenzionali”.
“[…] A Udine esiste già da anni una realtà produttiva a livello internazionale: il Css. È un punto di partenza importante con cui, è certo, anche il Giovanni da Udine intende collaborare“.
C’eravamo tanto amati
Lievi aveva concluso con parole di ammirazione, oggi dimenticate, nei confronti dei friulani.
“Ammiro l’orgoglio con cui i friulani difendono la loro lingua e la loro cultura – dichiarava nel 2010 -“.
Il difficile rapporto con il teatro Giovanni da Udine e con la città evidentemente ha spinto Lievi a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, abbandonando i toni diplomatici delle precedenti dichiarazioni e descrivendo alla platea di lettori triestini, con toni tutt’altro che lusinghieri, il suo punto di vista sulla realtà udinese.
18 marzo 2013