Anche il Fvg aderisce allo sciopero nazionale Tim, indetto per mercoledì 23 febbraio “contro le ipotesi di scorporo della rete, per l’unicità dell’azienda e a difesa della tenuta occupazionale delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende del Gruppo”, si legge nelle motivazioni.
La mobilitazione è in programma a Trieste, in piazza Vittorio Veneto, dalle 10.30. Le segreterie confederali, poi, incontreranno anche l’assessore regionale alle attività produtive Sergio Emidio Bini in merito ai temi dello sciopero.
“In un Paese dove il settore delle Telecomunicazioni è stato lungamente martoriato a partire dalla scellerata privatizzazione della Telecom Italia, realizzata dallo Stato nel lontano 2000, e nel quale a differenza di altre importanti nazioni europee i primi quattro operatori di telecomunicazioni sono in mani straniere, non si può far valutare al mercato la solidità del progetto per il Gruppo Tim”, fanno sapere le segreterie regionali di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil.
“Negli anni pre-pandemia abbiamo evidenziato e recapitato ai Ministeri competenti molteplici documenti con all’interno varie e importanti proposte sulla rete e sul settore delle telecomunicazioni. Da lungo tempo, in tutti i consessi possibili, evidenziamo le criticità del settore che, pur essendo da tutti considerato strategico, da dieci anni perde ricavi e
marginalità e non ha un chiaro indirizzo politico”, si legge ancora.
“Non sarà sfuggito quanto fondamentale sia stata la rete e il settore durante la fase acuta della pandemia dove circa 60 milioni di italiani hanno comunicato e lavorato grazie a questo comparto. Le telecomunicazioni sono centrali per portare il Paese a cogliere gli importanti e sfidanti obiettivi relativi alla digitalizzazione ed innovazione, quelli indicati nel Pnrr”.
“Aver superato il memorandum di intesa della fine di agosto 2020 tra Tim e CDP finalizzato alla realizzazione del più ampio progetto di rete unica nazionale (AccessCo) attraverso la fusione tra FiberCop e Open Fiber ha prodotto una nuova impennata della fragilità della Governance di Tim e allontana le forti prospettive di modernizzazione del Paese. La difesa degli attuali livelli occupazionali e il loro sviluppo non possono passare dal rimanere in attesa di cosa farà il mercato occorre che la politica tutta prenda una posizione urgente e chiara che preservi le infrastrutture del Paese e gli occupati del settore e i milioni di cittadine e cittadini che utilizzano i nostri servizi”.
“A oggi, a distanza di due mesi, non abbiamo avuto riscontri ufficiali da parte dei componenti del Governo. L’atteggiamento interlocutorio delle Istituzioni e una decisa accelerazione dell’azienda che stringe i tempi per arrivare al più presto a un piano industriale, non fanno che aumentare le nostre preoccupazioni e il disagio di oltre 42.000 lavoratrici e lavoratori occupati nel Gruppo e degli altrettanti dell’indotto. I tempi sono strettissimi. Il 2 marzo il Cda di Tim potrebbe approvare il nuovo piano industriale che darebbe il via allo smembramento del Gruppo. Nel frattempo tutte le aziende del settore sono pervase da riassetti che potrebbero portare a un vero e proprio stravolgimento”.
“Sono in gioco circa 40.000 posti di lavoro nel prossimo anno fra i maggiori player del settore e il composito mondo degli appalti. Tim è un’azienda strategica, già drasticamente ridimensionata da operazioni finanziarie, che non può e non deve essere definitivamente distrutta. L’Italia, se vuole avere un ruolo continentale nel mercato delle telecomunicazioni, non può rinunciare ad avere un campione nazionale a controllo pubblico. Di questo devono farsi carico le Istituzioni e tutte le forze politiche”.