Due vicende andate in scena proprio nella nostra regione devono allarmare tutti sulle reali capacità del sistema politico e amministrativo di rimettere l’economia locale sul binario dello sviluppo e, di conseguenza, del benessere. Due vicende che, a un osservatorio straniero, apparirebbero incomprensibili, in quanto pongono lo Stato in lotta contro se stesso, a danno dei cittadini, mentre il resto del mondo continua a correre. Protagoniste, nel bene e nel male, sono due aziende che appartengono a tutti noi, essendo controllate da apparati pubblici.
Il primo caso è quello di Fincantieri, colosso mondiale della cantieristica navale, controllato per il 72,5% da Fintecna, holding detenuta interamente dalla Cassa depositi e prestiti. Questo istituto è di proprietà per l’80,1% del Ministero dell’Economia, con una quota del 18,4% delle varie fondazioni bancarie italiane.
Lavoratori a casa
Proprio una parte dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, dove vengono depositati temporaneamente gli scarti della lavorazione sulle navi in costruzione, alla fine di giugno è stato posto sotto sequestro per nove lunghissimi giorni, interrompendo i lavori in corso e lasciando a casa tutti i lavoratori. Il motivo è un’inchiesta della procura di Gorizia in materia ambientale, avviata nel 2013. Il provvedimento cautelare era già stato respinto da Gip e Tribunale, ma in sede di Cassazione è stato poi autorizzato. Così, dopo oltre due anni sono scattati i sigilli. Solo un decreto urgente del governo nazionale ha consentito il dissequestro. La vicenda giudiziaria, comunque, procede ed è stato emesso avviso di garanzia nei confronti del direttore dello stabilimento per violazioni della disciplina in materia di Autorizzazione integrata ambientale.
Dodici anni di discussioni
La seconda vicenda è quella relativa all’elettrodotto Redipuglia – Udine. A chiedere la realizzazione, nel 2003, è stata Terna, controllata con quasi il 30% delle azioni da Cdp Reti, holding a sua volta di proprietà per il 59% della Cassa depositi e prestiti. Dopo dodici anni di confronti politici e istituzionali, i lavori sono iniziati alla fine dell’anno scorso dopo la convalida del Tar all’autorizzazione ministeriale, ma rimaneva in piedi il ricorso al Consiglio di Stato da parte di sette comuni interessati dalla nuova linea, di alcuni agricoltori e del comitato ambientalista locale. In tutti questi anni, comunque, c’è stata una vera tempesta di pareri tecnici contrastanti in merito alla sua necessità, come anche sull’opportunità di interramento in sostituzione dei tralicci.
Bocciata la procedura
La decisione d’appello della giustizia amministrativa, però, non interviene affatto sulla ‘bontà’ dell’opera, ma sulla procedura che ha portato alla sua autorizzazione. Ovvero, la sentenza censura, anche con toni molto critici da parte dei giudici, il Ministero dei beni culturali (Mibac) per aver ribaltato, ponendo solo alcune prescrizioni, il parere negativo della sua Soprintendenza regionale, motivando il fatto che l’interesse pubblico di carattere economico prevaleva su quello paesaggistico.
Incertezza sul futuro
Questo cortocircuito istituzionale, però, non chiarisce affatto l’epilogo della vicenda. La linea è già stata realizzata per il 70%, con 70 milioni spesi finora, e si dovrebbero spendere ancora per smantellarla. Se la si rifarà interrata serviranno ulteriori anni di procedure autorizzative, nuovi espropri e, soprattutto, un costo che indubbiamente decuplicherà, non si sa di quanto. In assenza di elettrodotto, Terna dichiara che i mancati risparmi saranno di 60 milioni all’anno, più il rischio di black out. Se, anche in questo caso, interverrà un decreto del governo, oltre alla valutazione sulla reale urgenza del provvedimento, gli oppositori all’opera sono già pronti a ricorrere alla giustizia europea.
‘Qualcosa’ non funziona
Perché si giunge a simili situazioni, in cui lo Stato combatte se stesso? A monte, certamente, la mancanza di una chiara e condivisa politica dello sviluppo, una schizofrenia istituzionale, spesso una mancanza di assunzione di responsabilità, quasi uno scaricabarile tra politici e dirigenti pubblici, lo sfilacciamento tra decisioni di governo e consenso, l’assenza di consultazione della maggioranza della popolazione che rimane silenziosa alla finestra. È un meccanismo così ruggine che basta un granello di sabbia, l’assenza di una carta bollata o l’opposizione di un piccolo comitato di paese, per inceppare tutto, senza precisi responsabili e con un conto che tutti dovranno pagare.