E’ stato presentato oggi il Rapporto 2020 di Fondazione Nord Est dedicato alla “Ripartenza”, con un evento online che ha visto susseguirsi 17 brevi pillole video di analisi e approfondimento. A completare l’illustrazione, i saluti di Giuseppe Bono, Presidente Fondazione Nord Est, Luca Zaia, Presidente della Regione del Veneto, Massimiliano Fedriga, Presidente Regione Autonoma Fvg, e Maurizio Fugatti, Presidente Provincia Autonoma di Trento, e l’intervento del Direttore Carlo Carraro.
“La pandemia è il grande, drammatico, evento del 2020 ed è inevitabile partire da questo per capire il futuro del Nord Est”, ha spiegato Carraro. “È un evento che passerà alla storia, non solo per la rarità con cui finora eventi di questo tipo si sono verificati, ma soprattutto per la dimensione del fenomeno e per i suoi impatti, resi globali da sistemi di connessione e mobilità che non esistevano nel caso di pandemie precedenti, oltre che da una numerosità della popolazione mondiale mai raggiunta prima (nel caso della pandemia del 1918-1920 la popolazione mondiale era poco più di un miliardo, ora siamo ben oltre i sette miliardi)”.
“La pandemia ha avuto impatti importanti in gran parte delle regioni del pianeta e non ha risparmiato il Nord Est e più in generale le regioni del Pentagono (per una analisi del ruolo trainante del Pentagono nell’economia italiana si veda il Rapporto 2019 della Fondazione Nord Est1). Le conseguenze in termini sanitari sono ben visibili: il numero di decessi è impressionante, soprattutto se calcolato come differenza tra i decessi degli anni scorsi e quelli di quest’anno. La pressione sugli ospedali ha infatti ridotto le capacità di successo nella cura anche di altre patologie. Le conseguenze economiche e sociali si iniziano a vedere e ben più si vedranno nel corso del 2021. Gli effetti delle politiche messe in atto, in particolare quelle previste nel Recovery Plan, se saranno ben disegnate, avranno impatti positivi e rilevanti solo nel medio periodo. Ecco quindi che il punto di partenza del Rapporto non poteva che essere un’analisi degli effetti e ricadute della pandemia del 2020-2021”.
“La prima parte del rapporto, realizzata dai ricercatori della Fondazione Nord Est, analizza in dettaglio, e con metodi anche innovativi, gli impatti della pandemia su crescita, occupazione, competitività, sostenibilità dello sviluppo. E produce informazioni nuove, che evidenziano i caratteri epocali di quello che abbiamo vissuto in questo ultimo anno. Sottolinea non solo le ricadute economiche, fortemente negative, ma anche quelle sociali ed ambientali. Ma la pandemia non è stato soltanto un evento catastrofico. Come spesso succede in questi casi, come spesso succede quando tocchiamo da vicino la relatività della nostra vita, la pandemia ci ha aiutato a ripensare modi di vivere e modelli di sviluppo. Ci ha fornito alcune lezioni che è importante saper utilizzare per ripartire. Questa consapevolezza costituisce una seconda parte del rapporto della Fondazione Nord Est, trasversale a tutti i contributi, che aiuta a rileggere la pandemia attraverso ciò che di nuovo abbiamo imparato a fare o ciò che di vecchio dovremo evitare di fare in futuro. Imparare dal passato è fondamentale per ripartire senza ripetere gli stessi errori”, ha detto ancora Carraro.
“Ad esempio, è risultato evidente il basso livello di preparazione ad eventi simili alla pandemia riscontrato in molti paesi, regioni del Nord Est incluse. Eventi come la diffusione mondiale di un virus sono eventi ad alto impatto e bassa probabilità. Ce ne sono tanti di questo tipo. Essere colpiti da un fulmine per esempio. Una guerra mondiale è divenuta fortunatamente oramai un evento ad alto impatto, ma bassa probabilità. Un crollo dei sistemi informatici mondiali attaccati da un malware straordinariamente efficace è un evento ad alto impatto, ma bassa probabilità. Eventi di questo tipo sono difficili da affrontare, perché dedicare tempo e risorse alla loro gestione preventiva sembra uno spreco. Eppure non è così. Il caso della guerra lo dimostra. Teniamo inutilizzati armi, caserme e soldati per anni, sapendo che tuttavia un giorno potrebbero essere necessari. Allo stesso modo perché non tenere inutilizzati, o parzialmente utilizzati, medicinali, ospedali e medici, specializzati nel far fronte ad eventi pandemici? Non sarebbe uno spreco di risorse della sanità, ma un modo di essere pronti nel caso in cui eventi come quelli del 2020 possano ripetersi. La preparazione preventiva a eventi catastrofici è la lezione che dovremmo aver imparato a utilizzare per altri eventi simili alla pandemia. Gli attacchi informatici su grande scala, per esempio, con la creazione di grandi sistemi infrastrutturali di cybersecurity pubblici, anche sovranazionali. O gli effetti crescenti dei cambiamenti climatici, che sappiamo poter essere improvvisi e catastrofici, e per i quali servono adeguati investimenti di preventiva protezione, non di interventi ex post (tra l’altro molto più costosi). Oltre che misure di preventiva riduzione della dimensione del fenomeno attraverso il progressivo azzeramento delle emissioni di gas ad effetto serra”.
“Dalla pandemia del 2020 abbiamo imparato un’altra grande lezione. I nostri sistemi sociali ed economici posseggono capacità di innovazione, e quindi di adattamento a eventi catastrofali imprevisti, superiori a quello che ci aspettavamo. Non tutti, non ovunque, ma un po’ ovunque ci sono esempi di innovazione che hanno permesso di superare o attenuare gli effetti negativi della pandemia. Innovazioni che lasceranno segni permanenti nei prossimi anni e che cambieranno il nostro modo di lavorare, produrre, commerciare, divertirci o curarci. Ad esempio, nel Rapporto si dedica ampio spazio alle nuove forme di lavoro ed occupazione. Dallo smart working, al lavoro ibrido, a tutto ciò che le imprese hanno imparato per rendere più efficiente il lavoro, ma anche meno stressante in molti casi, più favorevole al lavoro delle donne, più adatto a valorizzare il talento dei giovani. E con minori impatti su congestione e inquinamento delle città. Disegnando anche una nuova geografia del territorio, in cui il legame con i borghi rurali o quelli montani avrà la possibilità di crescere e ridare vita a questi territori”.
“Ampio spazio è dedicato anche agli impatti della pandemia sulla competitività internazionale delle imprese del Nord Est e a come queste abbiano saputo cambiare strategie commerciali, processi produttivi, relazioni col personale per riuscire a rimanere competitive. Ancora una volta, l’innovazione è stata la chiave di volta. Le imprese sulla frontiera tecnologica, più avanti nella trasformazione digitale, più connesse sui mercati internazionali, sono quelle che sono riuscite a soffrire meno degli impatti della pandemia. In qualche caso addirittura aumentando i livelli di crescita. La pandemia ha spinto le imprese ad accentuare i processi di innovazione, a riposizionarsi nelle catene del valore, a riscoprire il valore del talento del capitale umano. Mai è stato così importante avere a disposizione risorse umane competenti, con adeguati livelli di formazione e spessore culturale, intraprendenti, internazionali e flessibili. Questa nuova consapevolezza, se permarrà, fa ben sperare per il futuro dei nostri giovani, che anche nel 2019 hanno continuato a cercare lavoro all’estero (con un incremento sui valori record del 2018), dove le opportunità per il lavoro qualificato continuano ad essere migliori che non in Italia”.
“Ma non è solo un nuovo modo di lavorare o un nuovo posizionamento sui mercati internazionali che sta prendendo forma. La trasformazione digitale delle imprese, delle organizzazioni pubbliche, delle scuole e degli ospedali ha subito una profonda accelerazione. Siamo solo all’inizio, ma la pandemia ha mostrato quanto e cosa si può fare usando in modo intelligente l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale, la digitalizzazione dei rapporti commerciali, la robotizzazione delle produzioni e dei servizi (epocale è il cambiamento in corso nel settore dei servizi finanziari, ad esempio, oppure quello che avverrà a breve nelle scuole e nelle università). E oltre a lavoro, formazione e trasformazione digitale, sta cambiando il rapporto tra produzione e risorse del pianeta e ancor di più tra produzione e qualità dell’ambiente (e quindi con la salute delle persone). Come racconta anche il Rapporto relativamente alle imprese del Nord Est, la consapevolezza che produzioni e servizi sostenibili riducano gli impatti su inquinamento e spreco di risorse, aumentino l’efficienza, riducano i costi, migliorino i rapporti con gli stakeholder, soprattutto finanziari, è sempre più crescente. Con risultati positivi sui profitti aziendali. D’altro canto, il mondo delle banche è sempre più attento a queste trasformazioni e le aiuta, avendo capito che imprese sostenibili sono quasi sempre anche quelle con maggior reddittività e maggior solidità patrimoniale. E anche su questo il Rapporto contiene dati interessanti”, prosegue l’intervento di Carraro.
“Proporre dati interessanti è, come gli anni scorsi, il comune denominatore del Rapporto. Ci sono analisi ed approfondimenti, idee e proposte di policy, ma soprattutto ci sono dati fondamentali per sostanziare tesi e proposte. Per evitare scambi di opinione che sarebbero poco produttivi senza concreti dati fattuali. Da questo punto di vista il Rapporto rivela un altro passo avanti nel lavoro della Fondazione Nord Est. Grazie anche alla collaborazione con i partner della Fondazione (Cribis, Intesa Sanpaolo, Consulta delle Fondazioni Bancarie, FriulAdria-Crédit Agricole, Ernst & Young, BNL – BNP PARIBAS, Azimut Capital Management, Umana, UniCredit), è aumentata la capacità di produzione di ricerca autonoma della Fondazione, la sua capacità di produrre analisi e quindi
dati interessanti, anche usando big data e fonti innovative come i social media. Il Rapporto fornisce quindi una fotografia interessante delle regioni del Nord Est e dei processi di cambiamento in corso. Ma analizzare gli effetti della pandemia e le trasformazioni che ha indotto ed accelerato non è sufficiente. Così come non è abbastanza aver imparato dalle lezioni che la pandemia ci ha trasmesso. Adesso serve ripartire e ripartire nella giusta direzione, prendendo le giuste decisioni, adottando policy adeguate, senza accumulare ritardi rispetto agli altri paesi nostri competitors”.
“La ripartenza è decisiva. La pandemia può essere assimilata a un incidente che coinvolge tutte le auto di una gara di Formula 1 e il lockdown alla safety car. Ha bloccato tutti, in tutte le regioni del mondo. Bloccati, rallentati e ricompattati. I danni sono così grandi che le differenze tra paesi si sono attenuate, chi era primo in Europa (la Germania per esempio) non sembra più così diverso o così distante, avendo sofferto come e più di noi. Così, in Italia, chi sembrava primo (la Lombardia ad esempio) ha sofferto ed arrancato più di tutti nell’affrontare la pandemia e le sue conseguenze. Le differenze si sono attenuate, altri talenti sono emersi. Ci siamo ricompattati. Ora la ripartenza è decisiva. Chi saprà disegnare le strategie migliori, usare efficacemente le risorse che l’Unione Europea ha messo a disposizione e ancor di più quelle che i mercati mettono a disposizione per rinvestimenti privati, potrà ripartire meglio e più rapidamente degli altri. Senza più accumulare un gap tecnologico ed economico con i competitors o, nel migliore dei casi, riuscendo addirittura a sorpassarli. Vale per l’Italia, vale per il Nord Est”.
“Per una buona ripartenza servono strategie e politiche. Servono investimenti ed innovazione. Nel pubblico e nel privato. Il compito della terza parte del Rapporto è quello di delineare queste politiche, indicando il tipo di investimenti e la visione ad essa sottostante. Con attenzione non solo alla competitività, ma anche alla sostenibilità sociale ed ambientale, all’inclusione e all’equità, alla partecipazione come base del consenso. Con attenzione al metodo, non solo agli strumenti”.
“La terza parte del Rapporto ragiona anche sulle risorse per raggiungere questi obiettivi. Perché quelle del Next Generation EU, o Recovery Plan, non basteranno. Serve molto di più per realizzare i cambiamenti strutturali che portino il paese non solo a risollevarsi dalla pandemia, ma ad affrontare anche i suoi problemi di lungo periodo, soprattutto la bassissima crescita della produttività del lavoro, precedenti la pandemia. E quindi si pone attenzione anche ad altre risorse, pubbliche e private, europee e nazionali. Dai fondi regionali ai search funds, nuovi strumenti che i mercati finanziari mettono a disposizione delle imprese più innovative. Sono risorse finanziarie importanti che si affiancheranno, e nel medio periodo saranno anche maggiori, a quelle messe a disposizione per affrontare l’emergenza post-pandemia. E sono risorse necessarie, perché i problemi di modernizzazione ed efficientamento della pubblica amministrazione o di settori produttivi quali il turismo o l’agricoltura, sono problemi che richiederanno importanti investimenti oltre il 2025. E non solo. Affrontare ad esempio la transizione ecologica, come richiede il Next Generation EU, richiede risorse ben più rilevanti di quelle oggi disponibili. Si pensi alla transizione energetica e all’obiettivo di azzerare le emissioni nette di gas serra nel 2050 (obiettivo condiviso da tutti i paesi dell’Unione Europea). Le più recenti stime, che saranno raccolte nel prossimo rapporto dell’IPCC, dicono che serviranno a livello globale oltre 1600 miliardi all’anno di investimenti (in parte nuovi, in gran parte ridirezionando quelli esistenti, che nel settore energetico sono di questo ordine di grandezza). Per l’Italia, questo significa circa 32 miliardi all’anno di investimenti, numeri che vanno ben oltre quelli disponibili nel Recovery Plan”.
“E non basta, perché dovremo affrontare problemi importanti di diseguaglianze nei redditi e di esclusione sociale, problemi di modernizzazione delle scuole, delle università e degli ospedali, introducendo tutte le innovazioni che possano rendere queste fondamentali istituzioni più efficienti. Dovremo proteggere e rendere più vivibili le città, ripensando i sistemi dei trasporti e organizzando diversamente lavoro e mobilità. E tutto questo in una situazione di alto debito la cui sostenibilità richiede tassi di crescita del prodotto interno lordo ben superiori a quelli osservati negli ultimi decenni”,
“Per riuscire in tutto questo servono capitali, intesi come risorse finanziarie per gli investimenti. Ma servono anche capitali intesi come tecnologia e capitali intesi come risorse umane. Questo è forse il filo conduttore principale che unisce questo rapporto ai precedenti. Per ritrovare competitività e ripartire su basi solide, bisogna investire più di prima sul capitale umano. Il successo della ripartenza si baserà sulle competenze e sul talento delle persone che la sosterranno. Dai lavoratori agli imprenditori, dai civil servants ai leader politici. La pandemia ci ha insegnato quanto la competenza, la conoscenza, la ricerca siano stati importanti per controllare gli effetti più devastanti del virus. La stessa conclusione si applica alla ripartenza. Senza utilizzare appieno la competenza e il talento delle persone, e qui si inserisce anche l’obiettivo di fermare l’emorragia di talenti verso l’estero, la ripartenza sarà difficile e dagli esiti incerti. Nell’invitare quindi alla lettura del rapporto, anche scegliendo in modo non ordinato i capitoli su cui soffermarsi, colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta i Partner della Fondazione, che con i loro contributi e la loro collaborazione hanno permesso di realizzare molte delle ricerche illustrate nel rapporto. E colgo l’occasione per ringraziare i ricercatori e lo staff della Fondazione che dimostrano in questo Rapporto, ancora una volta, l’importanza di competenza e talento”, conclude Carraro.