Ci risiamo. Dopo un anno e mezzo di Governo Draghi, a nove mesi dalla fine naturale della legislatura ci si ritrova, nuovamente, con una crisi. Se dobbiamo analizzare in profondità le due situazioni, notiamo che quella attuale è più grave della precedente per almeno due motivi.
Il primo è che ci troviamo da cinque mesi, anche se indirettamente, coinvolti in un conflitto nel cuore dell’Europa che ha determinato un raddoppio dei costi energetici e un’inflazione all’8% che non si verificava da oltre trent’anni, il secondo è che con la crisi del Conte2 la legge di bilancio era stata approvata da poche settimane, in questo caso, invece, la crisi è scoppiata in piena estate, alla vigilia di importanti scadenze come il Nadef in settembre e la legge di bilancio nel mese di ottobre.
Ora si aprono almeno tre scenari. Il primo, che sarebbe il più auspicabile, è che Draghi non confermi le dimissioni e ci sia semplicemente un rimpasto di Governo con il cambio di qualche ministro.
Il secondo è che il Presidente Mattarella dia un incarico tecnico, per esempio al Ministro dell’Economia Franco, per preparare la legge di bilancio (ex legge Finanziaria), gestire in parte il Pnrr e andare alle elezioni all’inizio del 2023. Infine, l’ultimo scenario possibile, e forse anche il più probabile e il più pericoloso per l’Italia, è che si vada alle elezioni anticipate nel mese di ottobre.
In quest’ultimo caso tra le consultazioni con le forze politiche, la formazione del Governo, il giuramento dei Ministri, Vice Ministri e Sottosegretari si arriverebbe alla fine di ottobre oltre la presentazione del Nadef e a ridosso della legge di bilancio.
Non ci vuole molto a capire che si rischia, molto seriamente, l’esercizio provvisorio che uno stato con quasi 2.800 miliardi di debito pubblico non può assolutamente permettersi, a scapito di uno aumento dello spread che porterebbe a un maggiore costo di interessi da pagare da parte dell’Erario.
Oltretutto non ci sarebbero interventi a sostegno di famiglie e imprese e il Pnrr di cui si ha assolutamente bisogno non potrebbe essere attuato. Consideriamo, infatti, che in caso di dimissioni confermate di Draghi, questo non potrebbe far altro che svolgere “solo il disbrigo degli affari correnti” che in pratica vuole dire che può occuparsi solamente di affari amministrativi o può concludere atti già votati dal Parlamento.
Dal punto di vista della previdenza questo scenario sarebbe molto negativo, in quanto alla fine dell’anno vengono a scadere tre importanti atti decisi dall’attuale governo, la quota 102, Opzione Donna e Ape sociale che sono stati votati solo per il 2022 e che, quindi, scadono alla fine di dicembre.
Se non si interviene in qualche modo, alla scadenza di queste tre opportunità si cadrebbe nuovamente in toto nella legge Fornero che prevede i 67 anni da raggiungere per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne a cui si dovrebbero poi aggiungerei tre mesi di finestra per raggiungere la pensione anticipata. La famosa riforma strutturale che gli italiani aspettano da anni e che il Governo Draghi aveva promesso addirittura di inserire nel DEF del mese di aprile sarebbe per l’ennesima volta rimandata a data da destinarsi.
Come si vede, si prospetta uno scenario abbastanza difficile a cui bisogna aggiungere i circa 24 miliardi da trovare per saldare ai pensionati l’effetto dell’inflazione all’8% in base alla perequazione automatica degli assegni così come previsto dall’attuale legge.
In ogni caso sia che sia confermata la crisi, sia che in extremis si riesca a ricomporre il quadro politico un futuro molto incero aspetta gli italiani in autunno, con la pandemia che non accenna a placarsi e che ha già causato oltre 170.000 decessi, una guerra che molto probabilmente durerà almeno per tutto il 2022 e con un aumento smisurato dei prezzi al consumo che non si verificava da oltre trent’anni.
Rubrica a cura di Mauro Marino, esperto di economia e pensioni