In questi mesi, il tema delle multiutility e delle aggregazioni (una su tutte, la vicenda delle trattative Amga-Hera per la gestione del gas) è diventato assai scottante. Il punto nodale riguarda il rischio che il territorio perda il controllo di settori strategici, come tanti temono. Ma si tratta di un pericolo concreto? E quali saranno le conseguenze per gli utenti, in particolare nella bolletta? Ne abbiamo parlato con Pietro Del Fabbro, vice commissario per la terza corsia e già amministratore di società a controllo pubblico.
In questi mesi si sta discutendo sulla cessione di spa a controllo pubblico friulane ad altre società, magari quotate in borsa, per fare ‘massa critica’. Questo è davvero un rischio per il territorio?
“Il processo di crescita dimensionale delle aziende per accrescere l’efficientamento è ineludibile e ritengo sia una necessità. Il problema è come ci arriveremo. Ci sono due strade: o passando la mano ad altri o progettando aggregazioni che ci vedano soggetti propulsori. Nel primo caso, cedo ‘armi e bagagli’, sono acquisito e divento un soggetto ‘passivo’. Nel secondo, mi aggrego partendo da iniziative che vengono dal territorio e resto protagonista. Abbiamo visto le conseguenze dell’acquisizione ‘subita’ nel caso delle banche (ma non solo): la richiesta di un fido passa al vaglio di persone che lavorano fuori dal Friuli, magari in lontane città. Inoltre, ci sono altri tipi d’impatto sulle risorse umane e sulla mobilità dei funzionari, senza contare che spesso sono scelti professionisti non locali. Ciò porta a un impoverimento del territorio”.
Il fatto che si tratti di società quotate in borsa è un problema?
“Direi di no. Certo, le società quotate seguono logiche diverse rispetto alle altre, ma possono dare vantaggi in più se i sistemi regolativi funzionano. Inoltre, hanno un accesso migliore ai capitali e danno garanzie maggiori sulla governance. O almeno dovrebbero”.
Tanti dicono che il ‘capitalismo municipale’ è fallimentare, fonte di sprechi e di poltrone. E’ d’accordo?
“Gli esempi deteriori sono sotto gli occhi di tutti. E più le società sono piccole, più è facile che ciò avvenga. Però è diventato di moda puntare il dito contro il pubblico. Nella mia carriera ho visto tante realtà e ho notato che la grande differenza non riguarda il controllo pubblico o privato. La questione è se l’azienda si colloca in un mercato competitivo o meno. Per sua natura, il pubblico opera in settori non competitivi. Ma anche i privati, una volta entrati in questi settori, possono non garantire l’efficienza. Il nodo vero è un altro: inserire, in questi ambiti, regole e parametri che inducano a migliorare e che valgano sia per il pubblico, sia per il privato. A partire da Autority forti. Credo si debba affrontare il problema con equilibrio, senza dogmatismi. Certo, fa pensare il fatto che diversi imprenditori siano entrati in settori non competitivi”.
Come si sono comportate in questi anni le utility friulane?
“Tante aggregazioni friulane sono state acquisite da altri. Ognuno tragga le proprie conclusioni sull’essere protagonisti”.
La legge obbliga i Comuni ad alienare le reti (penso al gas) a chi vincerà le gare per la gestione. E’ uno scippo nei confronti del territorio?
“Su questo punto c’è un grande dibattito, con esempi europei da una parte e dall’altra. Il modello che prevede che le reti restino pubbliche e siano aperte a tutti gli operatori è affascinante e in alcuni casi ha funzionato. Resta il problema degli investimenti. E’ da capire se questi debbano essere portati nei bilanci pubblici. In Italia, inoltre, tutti i provvedimenti sono episodici e il fatto che le norme cambino così di frequente non aiuta”.
Per quanto riguarda l’acqua, il referendum di qualche anno fa ha sancito che questo ciclo debba restare in mano pubblica. E’ un vero vantaggio?
“Ripeto, la distinzione non deve riguardare la dicotomia pubblico-privato. Quello che importa è l’efficienza. In quel settore, gli investimenti da fare sono enormi e devono essere fatti con logiche industriali, non politiche. Anche in questo caso, il ruolo del regolatore resta fondamentale”.
Banda larga: alcuni, come il Fvg, vogliono cedere le reti a fibra ottica ai privati. Altri (Toscana), vorrebbero dar vita a una rete pubblica da ‘affittare’ agli operatori. Per quale soluzione propende?
“Premetto che non conosco il problema nei dettagli e non voglio dare giudizi. Tuttavia, c’è il problema degli investimenti e dell’innovazione e dobbiamo capire chi deve governare queste leve. Affidandosi a un soggetto ‘centrale’ si corre il rischio che il nostro territorio diventi marginale. Banalmente, investo dove le possibilità di ritorno sono maggiori. E il Fvg, da questo punto di vista, non può competere con regioni più densamente popolate o con le grandi città. L’interesse del territorio va salvaguardato”.
Acqua, luce e gas: dopo tali manovre, le bollette saranno più pesanti? E come cambierà la qualità dei servizi?
“E’ ovvio che il cambiamento è giustificato se porta benefici, innanzi tutto sulla qualità dei servizi (per esempio, tempi d’intervento e d’allaccio). Su questo fronte, c’è spazio per migliorare ed è doveroso aspettarselo. Sul fronte delle bollette, molto giocano gli investimenti che, dato il nostro modello regolatorio, diventano una componente delle tariffe. Queste possono aumentare nell’immediato, ma nel medio periodo, grazie alla maggiore efficienza, si stabilizzano. Ovviamente, si devono contenere i costi degli investimenti, che vanno fatti solo dove servono. D’altra parte, le uniche alternative di rientro sono di ‘scaricare’ i costi o sulla fiscalità o su chi utilizza il servizio”.
Questo vale anche per la terza corsia?
“Il tema è lo stesso. Con la differenza che si tratta di un’opera d’interesse nazionale per non dire europeo. E’ giusto sollecitare un intervento pubblico, ma ora non possiamo aspettarci più del 5-10 per cento dallo Stato. Si parla di una cifra di 160 milioni su 2 miliardi, ma la trattativa è ancora in corso”.