Ventitre giovani con in mano il primo diploma di tecnico superore nell’Ict e 19 di loro già lavorano nel settore per il quale hanno studiato. È questo, probabilmente, il migliore risultato già ottenuto dall’Istituto tecnico superiore (Ict) ‘Kennedy’ di Pordenone, che domani venerdì 29 novembre consegnerà ufficialmente i primi 23 diplomi. La cerimonia di terrà con inizio alle 15 nella sede del consorzio universitario e parteciperanno importanti rappresentanti regionali, dal presidente della Fondazione Its Michelangelo Agrusti, che è anche al vertice di Unindustria, al rettore dell’Università di Udine Alberto Felice De Toni, dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale Daniela Beltrame all’assessore regionale Loredana Panariti.
Per capire meglio il modello innovativo degli Its, ecco l’intervista fatta dal mensile di approfondimento economico Il Friuli Business, nel gennaio scorso, alla coordinatrice dell’Its Kennedy di Pordenone, Adriana Sonego.
Gli Its stanno cercando di mettere una pezza all’evidente e prolungato disallineamento tra offerta formativa ed esigenze delle imprese. È per questo che l’esperienza finora maturata dagli istituti esistenti in Friuli rappresenta un modello da cui tutte le scuole possono e, forse, devono attingere.
Quali sono i vantaggi del modello di Its?
“La figura professionale da formare viene determinata dagli organi di governo di ciascuna Fondazione Its per ciascun nuovo corso in base all’evoluzione tecnologica e alle esigenze del mondo del lavoro; la nostra Fondazione, che ha per oggetto le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha individuato il cloud computing come piattaforma sulla quale incentrare le nuove figure professionali da formare. L’alta specializzazione sulle ultime tecnologie fa dei nuovi diplomati Its delle risorse per l’innovazione in azienda. L’iscrizione all’Its è subordinata al possesso di un diploma di scuola superiore e al superamento di una selezione in ingresso: ciò consente di considerare il diplomato Its in grado di aggiornarsi in continuazione ed essere, quindi, in modo permanente un elemento di innovazione in azienda. Il percorso Its, poi, si conclude in due anni scolastici: ciò consente al diplomato tecnico superiore di presentarsi al mondo del lavoro intorno ai 21-22 anni di età, in linea con quanto accade oltralpe. Nel corso almeno la metà delle ore di didattica è affidata a specialisti provenienti dal mondo del lavoro o delle professioni. Inoltre, lo stage costituisce una parte rilevante; nel nostro caso 800 ore di stage su duemila complessive di corso. Il forte contatto con il mondo produttivo si è rivelato importante per l’acquisizione di competenze, ma anche per favorire negli studenti la stessa attitudine al lavoro e all’inserimento in una struttura di produzione. Il corso Its, infine, oltre a certificare le competenze del quinto livello europeo Eqf, si conclude con un esame di Stato e un diploma riconosciuto nei pubblici concorsi”.
Quali, invece, i suoi elementi di debolezza?
“Purtroppo, da noi nasce tardi rispetto all’esperienza di Paesi europei più attenti alla formazione tecnica: è quindi poco conosciuto come alternativa efficace alla laurea breve. L’impegno del Ministero per lo sviluppo di questo percorso, che costituisce una azione positiva per l’occupazione giovanile, è ancora troppo timido; le Regioni sembrano averne meglio compreso la portata innovativa e di aiuto alle politiche attive del lavoro”.
Una così stretta sinergia tra scuola e imprese può replicarsi in altri ambiti del sistema formativo?
“Gli Its sono essi stessi un nuovo modello scolastico; l’esperienza di maggiore integrazione scuola-azienda potrebbe, quindi, estendersi agli istituti tecnici consentendo un maggiore utilizzo degli stage, delle esperienze di alternanza scuola-lavoro e una maggiore apertura al mondo produttivo”.
Secondo lei, l’esperienza degli Its cosa può insegnare alla stessa scuola e alle imprese?
“Se la scuola italiana è, in genere, poco abituata al confronto con i problemi dell’inserimento in azienda, le imprese sono, dal canto, loro poco abituate a confrontarsi con i problemi della formazione dei giovani. Spesso prevalgono, su entrambi i versanti, degli approcci approssimativi e frettolosi.
Fino a ora né la scuola né l’impresa hanno avuto forti motivi per uscire da questa approssimazione: l’attuale crisi del mercato del lavoro, soprattutto giovanile, obbliga scuola e impresa ad affrontare la questione della formazione al lavoro. In generale, la scuola italiana tende a confinare l’educazione e la formazione alla tecnologia nel segmento formativo della scuola secondaria di secondo grado e solo nelle scuole professionali e tecniche. La scuola media unica, nata come sintesi tra la vecchia scuola media esclusivamente teorica e l’avviamento professionale, molto pratico, ha via via escluso dalla propria didattica ogni approccio alla manualità e alla tecnica: molte vocazioni tecniche, che non si sono potute esprimere, sono così andate perdute nell’indistinto della licealizzazione di massa. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro sta, purtroppo, evidenziando di aspetti drammatici questo grave errore di orientamento nel segmento inferiore della scuola secondaria”.