Sono tre i fronti aperti sui cui la Fiera di Pordenone sta lavorando, con tre rispettivi obiettivi: risanare i conti della società, rinsaldare i rapporti con il territorio, internazionalizzare la propria attività. A guidare operativamente questa strategia, dal luglio dell’anno scorso, è il manager Pietro Piccinetti, con un passato in Fiera di Milano e alla guida del gruppo Sintesi di Spilimbergo.
Dal suo insediamento a oggi, che idea si è fatto del sistema fieristico locale?
“A Pordenone ho trovato persone professionali, preparate e motivate. Non è cosa di poco conto: fare una fiera è quanto di più complesso possa esistere. Bisogna individuare il contenuto più accattivante per il mercato in quel momento, bisogna poi venderlo agli espositori e al pubblico, bisogna organizzare una macchina logistica complessa per soli pochi giorni. Inoltre, esiste un Cda coeso e preparato, che non è vissuto unicamente come momento istituzionale, ma come strumento di confronto serio, profondo e costruttivo”.
Dopo un bilancio 2012 in perdita di 286mila euro, come si è chiuso il 2013?
“Con una perdita di un milione di euro, conseguenza sia della mancanza di alcuni appuntamenti con cadenza biennale, sia dei consistenti ammortamenti, pari a 500mila euro, per investimenti fatti soprattutto su manifestazioni che costituiscono la strategia futura. La gestione ordinaria registra, quindi, una perdita di circa 200mila euro. Nell’attuale esercizio contiamo di tornare a pareggio, sia grazie alla programmazione di importanti eventi, sia per una spending review fatta a 360 gradi con grande impegno e attenzione di tutti noi. Voglio ancora una volta ribadire che la vera mission della fiera deve essere quella di ‘creare lavoro’ per il territorio, ovviamente con i conti in ordine, operando come un ‘turbo’ per tutte le attività produttive”.
Cosa pensa della divisione tra ‘contenitore’ e ‘contenuto’, cioè tra proprietà del quartiere fieristico e gestione degli eventi?
“Non credo in questo modello che in casi di alto prestigio, come Milano, si è già rivelata fallimentare. Infatti, separare gli obiettivi della fondazione proprietaria e della società di gestione porta a convivenze conflittuali, che in un sistema piccolo e fragile come quello friulano rischiano di essere fatali”.
Come state operando sul fronte interno?
“Al momento del mio insediamento ho avvertito una sorta di dicotomia tra la fiera e il suo territorio. Abbiamo voluto, quindi, far uscire la società dal proprio arroccamento, ridefinendo partnership con la Camera di Commercio e con tutte le categorie economiche locali”.
E su quello esterno?
“Ho iniziato un road show negli enti camerali e associazioni industriali di tutta Italia, proprio per presentare la nostra offerta espositiva. Inoltre, mettendo a frutto la mia lunga esperienza presso il Ministero del Commercio Estero in qualità di consulente, stiamo sottoscrivendo accordi con gli uffici Ice dei Paesi di nostro interesse per l’internazionalizzazione della fiera”.
In quale maniera?
“Vogliamo creare un format, basato sui nostri eventi dedicati al contract e al food-ristorazione, da poter esportare in sedi estere. Un piccolo test lo abbiamo già realizzato l’anno scorso in Canada e abbiamo in programma nei prossimi mesi missioni di delegazioni da Russia e Iran. Inoltre, abbiamo avuto incontri con altri operatori fieristici dei Paesi dell’tarea del Mar Caspio. L’obiettivo è quello di organizzare vetrine per le imprese di tutta la regione nei mercati in crescita, che possono essere sbocco per il nostro export, attraverso manifestazioni all’interno delle loro fiere più importanti. Tutto questo sempre in sintonia e piena sinergia con la Camera di Commercio. Mi auguro vivamente che tutto questo possa essere un aiuto concreto alla ripresa del sistema economico regionale: ne abbiamo veramente bisogno”.