Dopo tre mesi, qualcosa si muove in ambito previdenziale. Sono state settimane di assoluto silenzio, nelle quali la riforma è stata completamente messa da parte, sovrastata dalla guerra nel cuore dell’Europa che sta facendo gravissimi danni non soltanto dal punto di vista delle perdite di vite umane ma anche dal punto di vista economico.
E’ sotto gli occhi di tutti come i costi energetici siano più che raddoppiati e i generi alimentari di prima necessità siano in rialzo di oltre il 20%. Questo ha determinato nei primi quattro mesi del 2022 un rialzo dell’inflazione che è arrivato al 6,5%. Probabilmente tutti speravano che l’invasione dell’Ucraina si esaurisse in poche settimane e anche l’Esecutivo aveva momentaneamente accantonato le varie problematiche presenti nel Bel Paese in attesa della soluzione del conflitto. Purtroppo ciò non è verificato e, anzi, autorevoli esperti di geopolitica ipotizzano una durata delle ostilità di parecchi mesi, motivo per il quale il Governo è stato quasi ‘costretto’ ad affrontare le altre problematiche che erano state lasciate da parte.
Tra queste ci sono gli interventi in ambito previdenziale. Chiariamoci: non è che improvvisamente sono riprese le trattative tra Governo e parti sociali e che in poche settimane i cittadini italiani avranno una nuova legge equa, strutturale e duratura, ma, almeno, il silenzio assordante sulle pensioni è stato interrotto.
Anche perché gli interventi che sono stati approvati nell’ultima legge di bilancio hanno efficacia solo per il 2022 e, quindi, se non si interviene nel corso dell’anno, ritorna, in quanto mai superata, la legge Fornero che a parole tutti dicono di voler cambiare perché troppo rigida ma che, di fatto, è sempre presente.
Da un paio di giorni sta riaffiorando come un ‘fenomeno carsico’ la proposta Tridico di pensione in due tempi. A 63/64 anni si uscirebbe dal mondo del lavoro e si percepirebbe solamente la parte di assegno maturato con il sistema contributivo e, successivamente, all’età del pensionamento ordinario di 67 anni si percepirebbe anche la parte di retributivo. Questa proposta già presentata dal Presidente dell’Inps in ottobre alla Commissione lavoro della Camera, come per incanto, ogni tre/quattro mesi ‘riemerge’ come soluzione per risolvere l’annoso problema della flessibilità in uscita. Ma, in realtà, tale ipotesi compare più sui giornali che nella realtà e rappresenta una ‘testa di ponte’ della vera, reale proposta dell’Esecutivo di consentire una flessibilità in uscita a partire dai 64 anni di età, a patto, però, come per Opzione Donna, di accettare il calcolo totalmente contributivo per tutta la durata della vita.
Oltretutto questo della flessibilità in uscita è solamente uno degli aspetti da affrontare e non risolverebbe assolutamente l’annoso problema previdenziale. Sono da affrontare e risolvere anche gli aspetti che riguardano i giovani e le donne che hanno carriere molto discontinue creando, ad esempio, una pensione di garanzia. Vanno, poi, affrontati il problema di chi ha già lavorato per 41 anni e deve poter accedere al pensionamento a qualsiasi età e senza penalizzazioni, quello della previdenza complementare e del riscatto della laurea, attuando consistenti agevolazioni fiscali, e quello di chi è già pensionato e ha subìto gli aspetti maggiori della crisi in atto introducendo una ‘no tax area’ fino a 10.000 euro di imponibile annuo.
Le cose da fare, quindi, sono parecchie e non limitate al solo aspetto della flessibilità in uscita. Sono convinto che in poche settimane, se si affronta con serietà e determinazione l’argomento, si possa trovare una sintesi e anche dal punto di vista della sostenibilità il costo sia sopportabile.
Come fare? Recuperando i miliardi risparmiati dal minore utilizzo di quota 100 e dal risparmio avuto dall’Inps a causa degli oltre 165.000 decessi da Covid – di cui oltre l’85% pensionati – e cominciando a scardinare un altro tabù, quello di intervenire sulle pensioni d’oro non coperte da corrispondenti versamenti previdenziali.
Rubrica a cura di Mauro Marino, esperto di economia e pensioni