Dopo tutti questi anni di declino economico, i business angel volano ancora. Anzi, la loro attività si è fatta progressivamente più intensa: il clima di difficoltà ha spinto molti a proporre nuove idee imprenditoriali, i potenziali investitori sono cresciuti nel numero, esistono numerose strutture, private e pubbliche, che consentono di avviare l’incubazione. Tutto questo, però, non si è tradotto in nuova epoca di industrializzazione. La decimazione delle start-up nel momento di entrare nella fase della produzione è altissima, mancano finanziamenti e anche supporti professionali per la commercializzazione. Il fermento c’è, quindi, ma rimane nella botte.
In Italia il mercato dell’informal venture capital è in continua crescita e nel 2013 ha fatto registrare operazioni per un totale di quasi 32 milioni di euro. Secondo una ricerca di Iban, sono stati censiti 324 investimenti: l’84% è stato finalizzato all’acquisto di equity, l’11% al finanziamento soci e il 5% come garanzia bancaria. Il 68% degli investimenti è stato di importo inferiore ai 100mila euro. Un terzo degli investimenti vede impegnato congiuntamente più di un business angel. Il settore che ha beneficiato maggiormente dei finanziamenti è stato l’Ict, seguito dal ‘media & entertainment’ e dal medtech.
Lo scorso anno sono stati registrati 19 disinvestimenti, la metà di essi ha comportato una perdita o un recupero del solo capitale investito, mentre il 14% ha ottenuto una redditività superiore al 50%.
Dal quadro generale emerge che gli investimenti in high-tech non garantiscono performance superiori rispetto agli investimenti in altri settori. Inoltre, quelli di durata inferiore ai tre anni producono ritorni inferiori rispetto a quelli con impegno temporale superiore.
Infine, chi è il tipico business angel italian? Ha fra i 40 e i 50 anni, è un uomo e vive nel Nord Italia. È un imprenditore e ha un passato come manager, è laureato, ha un patrimonio inferiore ai due milioni di euro e investe meno del 10% del proprio patrimonio in angel investment.
Il percorso non è completo: manca il ‘second round’
Anche in Friuli ‘volano’ diversi business angel. Tra loro Carlo Asquini, che aderisce al gruppo Italian Angels for Growth (Iag), il quale con 118 attuali associati rappresenta il più grande network del genere in Italia. Si tratta di imprenditori, manager, professionisti e uomini di finanza che decidono di essere investitori in prima persona e, quindi, vanno a caccia di idee imprenditoriali da sostenere affinché si traducano in realtà concrete.
In questi anni di caduta economica, come è cambiato il ruolo dei business angel?
“La crisi ha indotto molte persone a tirare fuori dal cassetto progetti e idee, all’insegna del ‘tanto non c’è nulla da perdere’: se l’azienda per cui lavori è in crisi e, quindi, rischi di perdere il lavoro, allora diventa più facile poter decidere di rinunciare allo stipendio per tentare di sviluppare un sogno inespresso.
Di conseguenza, c’è stata una presa di coscienza rispetto a chi può aiutare l’idea a concretizzarsi, vale a dire i business angel, che sono cresciuti nel numero e hanno acquisito maggiore visibilità.
Inoltre, sono nati acceleratori privati di ‘primo miglio’, che forniscono tutoraggio affinché chi ha un’idea la possa presentare e sviluppare nel modo migliore. È il caso, per esempio, dell’Impact Hub Trieste, di cui sono socio, e in cui hanno investito anche Friulia e gli imprenditori Lorenzo Pacorini e Giuseppe Visentini”.
La quantità e qualità delle idee imprenditoriali che aiutate a nascere sono aumentate o diminuite?
“Negli ultimi anni la quantità è sempre molto alta e la qualità non è in media molto cambiata. Rimane invariato un problema, presente sia prima della crisi, sia oggi: i progetti troppo spesso vengono presentati male. Mancano informazioni di mercato, mancano dati economici e finanziari di supporto: chi ha un’idea non può nascondersi dietro la difficoltà di fare una previsione, ma deve comunque fare un stima, altrimenti non merita di avere attenzione da parte di potenziali investitori. Mancano, poi, team completi: quelli composti di soli tecnici oppure soli commerciali non sono sufficienti e non danno le necessarie garanzie di successo.
Va, comunque, dato atto che molti progetti sono, invece, presentati i maniera formidabile. Rimango sempre colpito quando giovani potenziali imprenditori ventenni presentano in maniera eccellente idee innovative. Assicuro che trasmettono una energia incredibile: anche per questo è bello essere un business angel; riempie di soddisfazione sapere che, forse, grazie anche al proprio aiuto potranno avere successo”.
Quali sono le idee che oggi hanno più probabilità di avere successo?
“Ogni settore può presentare opportunità interessanti, tutto dipende dalla qualità del management, che deve essere in grado di interpretare velocemente i segnali del mercato e, se necessario, di modificare in tempi rapidi il proprio modello di business. La regola non scritta è: meglio investire in un’idea buona con un eccellente management, piuttosto che in un’idea eccellente con un management discreto”.
Può fare un bilancio di questi anni di attività del vostro network?
“Nel periodo tra febbraio 2008 ad aprile 2014 abbiamo ricevuto 2.135 segnalazioni di idee imprenditoriali, delle quali il primo screening ha bocciato il 21 per cento. Il 4,4% è stato, poi, presentato ai soci e trenta, pari all’1,4%, hanno superato tutto il percorso è sono diventate start-up. Importante è stata anche la crescita della nostra realtà, visto che oggi contiamo 118 soci, di cui 21 nel Nordest e, in particolare, 12 che operano in Friuli Venezia Giulia”.
Gli ostacoli per far decollare un’idea imprenditoriale sono gli stessi o sono cambiati?
“Purtroppo, sono sempre gli stessi. E non è solo la burocrazia o la solita ‘rigidità’ del nostro Paese. C’è anche un problema di ecosistema: le medie e grandi aziende dovrebbero cominciare a investire in innovazione e tecnologia anche acquistandola dalle start-up. Infatti, uno dei problemi più evidenti è l’altissima difficoltà a trovare capitali per il cosiddetto ‘second round financing’, ovvero nella fase successiva all’accompagnamento del business angel, in cui la start-up che ha già elaborato un prototipo o testato un prodotto dovrebbe tradurlo in una linea produttiva e lanciarlo, quindi, sul mercato con azioni commerciali e di marketing”.
Quindi, siamo bravi a generare nuove imprese vincenti, ma non a farle vivere?
“Gli Usa in questo sono maestri: da loro un bel progetto raccoglie dieci volte i capitali che potrebbe raccogliere in Italia. È sempre un problema di ecosistema non adeguato. Le aziende già esistenti e ben avviate dovrebbero diventare più permeabili all’innovazione, cercandola al di fuori della propria organizzazione, che si rivela spesso poco flessibile alle novità, e di conseguenza andandola a scovare anche tra le start-up”.
Quali azioni, quindi, sarebbe importante mettere in campo oggi?
“Vanno fatte incontrare eccellenze produttive friulane e start-up locali. Sono certo che potranno nascere progetti stupendi che non sarà difficile finanziare ulteriormente. Solo così si potrà creare il giusto ecosistema”.
Ecco i Rainman
Dai business angel ai rainman: l’intuizione di creare un ulteriore anello, quello cioè che collega l’idea imprenditoriale a un potenziale investitore o assistente alla nascita, si è concretizzata in un progetto di network, frutto di collaborazione tra l’Associazione italiana degli investitori informali in rete (Iban) e la cooperativa Cramars. Perché, spesso, non far incontrare l’idea giusta con il business angel adatto diventa un’occasione persa per tutto il sistema economico, come spiega il presidente della coop carnica Vanni Treu.
Perché nasce Ban Fvg?
“Nasce all’interno del sistema della formazione professionale finanziata dalla Regione, in quanto Cramars, che è l’ente di formazione che l’ha creata, sostiene da sempre che i posti di lavoro si creano con nuovi imprenditori o rafforzando l’imprenditoria locale. Ban Fvg desidera, pertanto, mettere l’imprenditore o l’aspirante imprenditore al centro del suo progetto di intervento coinvolgendo la rete nazionale dei business angels”.
Come opera il progetto?
“Ban Fvg opera cercando di scovare nelle menti giovani il guizzo dell’autoimpiego. Accompagna il giovane nell’analisi delle sue potenzialità personali e indaga nella valenza dell’idea imprenditoriale coinvolgendo i rainman”.
Chi sono?
“Sono gli ‘uomini della pioggia’, che se vedono un piccolo seme di idea imprenditoriale valida accompagnata da un imprenditore capace dedicano il loro tempo a far germogliare velocemente questa idea. Di solito sono professionisti affermati o imprenditori che hanno sposato questa filosofia di Cramars”.
In questi anni di caduta economica, come è cambiato il ruolo dei business angel?
“Il business angel, figura relativamente nuova nel panorama italiano, è un investitore informale interessato a investire parte delle proprie risorse personali in progetti di impresa ad alto tasso di innovazione, a bassa intensità di capitale e che possano, in tempi relativamente brevi, portare significativi profitti. In questo senso la crisi economica ha contribuito a far emergere nuovi modelli di innovazione e di business”.
La quantità e qualità delle idee imprenditoriali che aiutate a nascere sono aumentate o diminuite?
“Non si tratta di una questione di numeri, intesi come valori assoluti, ma di settori e di nicchie di mercato, e, soprattutto, di progetti e idee imprenditoriali particolarmente innovative, in cui la compagine sociale deve dimostrare di meritare la fiducia di un potenziale investitore”.
Gli ostacoli che incontrate nel far decollare un’idea imprenditoriale sono gli stessi o sono cambiati?
“Non tutte le idee imprenditoriali vengono finanziate da un bussines angel. Questo perché non tutte le idee hanno le caratteristiche per supportare il rientro economico dell’investitore. Pertanto, una buona parte dei progetti valutati si limita alla semplice consulenza per la redazione dei business plan da parte dei nostri rainman. Ci sono alcuni settori e alcuni progetti, comunque, che stiamo accompagnando con i nostri rainman che prevedono crescite esponenziali nei prossimi anni. Ci riferiamo soprattutto al settore Ict. In questo caso, l’ostacolo principale è quello di trovare il business angel maggiormente adatto”.
Quali sono le idee che oggi hanno più probabilità di avere successo?
“Esiste un contenitore che si chiama Imprenderò 4.0 finanziato dalla nostra Regione. Noi siamo partner del progetto e assieme agli altri partner analizzeremo ogni idea che proviene al fine di poterla ospitare all’interno del nostro particolare percorso di autoimprenditorialità. Alcune idee potranno proseguire l’iter, altre le fermeremo prima in quanto non remunerative, ma non limiterei mai i settori della creatività imprenditoriale”.