Al celebre ristoratore italo-americano Joe Bastianich (nella foto) la Camera di Commercio di Udine, guidata da Giovanni Da Pozzo, ha deciso di consegnare la moneta ‘Jacopo Linussio’. Si tratta di un riconoscimento alla sua attività imprenditoriale, seguendo le orme della madre Lidia, che lo ha portato di casa anche in Friuli, visto che a Gagliano di Cividale ha una propria azienda vinicola affiancata, da un paio di settimane, anche dal suo primo locale in Europa, il ristorante-taverna ‘Orsone‘. Non solo, Joe Bastianich, ormai consolidato giudice alle serie televisive Master Chef sia negli Usa, sia in Italia, è tra i papabili quale testimonial dell’edizione di quest’anno di Friuli Doc, che si terrà a metà settembre a Udine.
Pubblichiamo un’intervista rilasciata da Joe Bastianich in eslcusiva a IL FRIULI BUSINESS nell’ottobre 2011.
Il cibo è sempre più motore dell’economia globalizzata. Deve essere, però, di qualità, godere di un nome, essere autentico e, soprattutto, evocare un modo di vivere, una storia e un territorio. È questo che mercati come quello americano, ma anche dei Paesi emergenti, in cui una nuova classe agiata sta avvicinandosi agli stili occidentali, chiede ed è disposto anche a pagare. Guai, però, a barare oppure a rinunciare all’autenticità per rincorrere opportunità di mercato passeggere. La raccomandazione è di uno nato e cresciuto tra fornelli e obiettivi televisivi. Joseph ‘Joe’ Bastianich è figlio di Felice e Lidia di origini polesane ed emigrati negli Usa dopo la diaspora istriana. Celebri ristoratori ai vertici delle guide Usa, sua madre volto celebre della tv nelle trasmissioni dedicate al cibo e alla nuova cucina oltre che autrice di decine di ricettari best seller, Joe Bastianich ha messo radici anche in Friuli, dove possiede una rinomata azienda vinicola nel Cividalese. Come aveva già fatto nella versione statunitense, ha partecipato da giurato al reality Master Chef andato in onda sulla tv italiana.
Come sta cambiando il ‘modo di mangiare’ nei Paesi Occidentali?
“Negli ultimi anni il popolo americano ha cominciato a interessarsi sempre più all’origine del cibo. Gli italiani, invece, hanno da sempre ritenuto importante la tipicità e la provenienza dei prodotti, ma qui in America, il ‘Hoof to Plate’ (letteralmente ‘zoccolo nel piatto’, ndr) è un concetto abbastanza recente, almeno per gran parte della popolazione, e penso che i programmi televisivi che parlano di cibo stiano realmente aiutando molto questa concezione”.
Negli Usa l’interesse per il cibo ‘made in Italy’ sta crescendo o calando? E quali sono i suoi punti di forza percepiti oggi dal consumatore?
“L’interesse nei prodotti italiani sta crescendo e non solo riguardo i prodotti stessi, ma nei confronti dello spirito dell’Italia e nel modo in cui gli italiani combinano cibo e vino nella vita quotidiana. Il successo di Eataly a New York, il grande market con ristoranti dedicato elusivamente all’enogastronomia made in Italy, ne è un esempio perfetto e sono certo che questo negozio ha migliorato il modo di cucinare, fare la spesa e mangiare di tanti newyorkesi”.
Come si conquista il consumatore americano?
“Fornendo prodotti di qualità autentici italiani. Attualmente, almeno a New York, c’è una grande richiesta per tutte le cose italiane, ma la gente chiede le cose genuine: ‘The real deal’. I newyorkesi conoscono già alcuni dei migliori prodotti Italiani, perciò si aspettano solo il meglio”.
Quali sono gli errori più frequenti che un produttore italiano fa nel momento in cui và all’estero con i propri prodotti?
“Le piccole imprese devono concentrarsi su una ‘nicchia’ del mercato e non tentare di essere ovunque e per tutti”.
Le piccole aziende come possono entrare nei nuovi grandi mercati del mondo?
“Può essere molto difficile vendere un marchio e un prodotto sul mercato. Ogni tanto ci vuole un po’ di fortuna e ogni tanto ci vuole qualche conoscenza giusta. Consiglierei alle piccole imprese italiane, che cercano di entrare nel mercato americano, di provare in varie città. Certamente il mercato di New York è molto difficile, ma con la crescente popolarità dei prodotti italiani in tutti gli Stati Uniti, forse è meglio mirare su mercati meno famosi come Houston, Phoenix, Portland e cominciare da qui”.
Quale consiglio dà a un piccolo produttore friulano di un prodotto tipico di alta qualità?
“Resistere alla tentazione di modificare il proprio prodotto per entrare in un mercato più grande. Diminuendo l’autenticità e la qualità del prodotto, questo non durerà molto sul mercato e si indebolirà nel marchio. Sono convinto che con il tempo un prodotto veramente buono può arrivare all’apice, anche se non così in fretta come si vorrebbe”.
Cambio del nome del vino Tocai in Friulano: come ha reagito il mercato internazionale?
“Tutti dicono ‘abbiamo perso la guerra con l’Ungheria’. È vero, ma c’è una nota positiva: il cambio ha chiarito la confusione che esisteva all’interno del comparto vinicolo. Penso che avere uguali il nome dell’uva e del luogo dove viene prodotta aiuterà ad attirare l’attenzione sulla regione, permettendoci di dimostrare di cosa siamo capaci”.
Collio, San Daniele, Illy e altri brand del Friuli Venezia Giulia sono conosciuti all’estero?
“Sì e lo è soprattutto il caffè Illy. Tutti conoscono questo marchio negli Stati Uniti, sopratutto nelle città più grandi”.
Cibo e cucina sono sempre più presenti in tv e sui giornali: cosa pensa di questo fenomeno?
“Penso che sia fantastico! A mio avviso i programmi sul cibo, che siano reality come MasterChef e TopChef, o qualcosa di più didattico e informativo come Good Eats o come il programma di mia madre Lidia, creano interesse positivo sul cibo, sulla cucina casalinga e anche sulla ristorazione”.
Qual è l’insegnamento più importante per la sua professione che sua madre le ha dato?
“Amalo o lascialo… Gli affari nel mondo della ristorazione e del vino spesso non sono molto lucrativi. Generalmente, qui negli Usa, un ristoratore medio ottiene attorno al 10% di profitto: perciò, è molto meglio amare ciò che fai, altrimenti non è posto per te!”