Meglio i vitigni autoctoni o quelli universali? E fra quest’ultimi quali scegliere? Seguire la tradizione o le mode? Ma chi comanda nel mondo vitivinicolo, l’enologo o il responsabile marketing?
Tutti interrogativi che negli ultimi anni percorrono il mondo del vino.
Prosecco e Pinot grigio in gran spolvero, a dar respiro a un settore importante, l’unico in agricoltura che sopravvive alla crisi post 2008, hanno calamitato l’interesse dei più; ma non per questo sono stati dimenticati gli ‘ultimi’ e, fra questi, il Pinot nero, varietà che merita un approfondimento, unitamente ai suoi due ‘figli’: il grigio e il bianco.
Arrivano i francesi e… anche la fillossera. L’origine è della Borgogna. Dopo la fine dell’800 da noi si è diffusa nel Nord Italia
L’impegno del mondo agricolo friulano per la creazione e il consolidamento di un sistema vivaistico viticolo post-fillosserico, dal 1888 in poi, forte e duraturo fu complementare a quello della ricerca nel settore vitivinicolo. Accanto a una consolidata base autoctona, che l’agronomo e l’enologo si avviavano progressivamente ad affinare nelle vigne e nelle cantine, cogliendone il meglio in termini di qualità, cresceva l’interesse per vitigni provenienti da altre regioni estere altamente vocate austriache, tedesche e soprattutto francesi.
Dedicheremo proprio a questi ultimi un particolare interesse ricordando che, molto probabilmente, la loro prima presenza nella nostra regione fu conseguenza delle nozze, il 15 febbraio 1868, fra il conte Teodoro de la Tour e la nobile Elvine Ritter de Zahoni, proprietaria della tenuta Villa Russiz di Capriva.
Il capofila genetico dei tre Pinot dovrebbe essere proprio il Pinot nero, splendida realtà di Borgogna che da noi ha avuto più fortuna nella versione bollicine, magari in compagnia con Chardonnay, che ferma.
Gli alto-atesini, per contro, tirano diritti per la loro strada e con tale vino sono protagonisti a livello mondiale nell’alta ristorazione.
Tuttavia anche in Friuli Venezia Giulia qualcosa sta cambiando, se è vero – come è vero – che proprio per la sua valorizzazione si è costituita lo scorso anno un’associazione ad hoc. Attualmente, comunque, non supera i 200 ettari complessivi.
Il Pinot bianco, splendido bianco secondo solo al Tocai friulano, fino a una decina di anni fa è stato brutalmente abbandonato per far posto prima al cugino Pinot grigio e poi, complici le frizzanti mode, al Prosecco da uve Glera. Ridotto a poco più di 500 ettari in regione è minima parte dei circa 24mila ettari di vigneto complessivi.
Tutto il contrario del Pinot grigio che continua a essere oggetto di richiesta prioritaria soprattutto estera.
Significativo che per tale varietà si siano unite la nostra regione al Veneto e al Trentino per dar vita al nuovo disciplinare Pinot grigio Doc delle Venezie. Complessivamente interessa più di 6.000 ettari, ovvero circa il 25% del Vigneto Friuli.