Le saracinesche abbassate e le luci spente negli otto locali di Borgo Stazione chiusi ieri dal Questore conferiscono al quartiere più vivace e chiacchierato di Udine un’immagine spettrale. Sui volti degli avventori che stamattina si soffermavano a leggere il cartello con la scritta “Chiuso. Con provvedimento del Questore di Udine” non si percepiva, però, sorpresa o smarrimento. Che questa zona della città fosse problematica lo sanno tutti. E non solo perché leggono la stampa locale. Chiunque sia transitato per via Roma e vi sia soffermato più di un istante ha, infatti, visto con i propri occhi. E, per i più, ciò che si vedeva, su questi marciapiedi, è inaccettabile.
Lo spaccio di droga in Borgo Stazione è una realtà conclamata, che qualche mese fa fu anche documentata da una bella inchiesta di Giancarlo Virgilio. Il quale, armato di telecamera nascosta, fotografò le microdinamiche dello smercio, l’abbordaggio dei potenziali clienti, le transazioni. Interazioni alla luce del sole, sfacciate, all’insegna dell’impunità. I protagonisti, sempre gli stessi: un piccolo plotone di rifugiati e richiedenti asilo che hanno eletto, per motivi ovvi, questo quartiere a piazza di spaccio aperta a tutte le ore del giorno e della notte. Rendendo disponibili agli udinesi sostanze proibite a buon mercato, vendute al dettaglio o in grandi quantità. Hashish ed eroina per tutte le tasche e, per i più facoltosi, la polvere bianca che fa tanto Milano da bere.
I residenti di Borgo Stazione oggi tirano un sospiro di sollievo. Il segnale lanciato dalla Questura era rivolto anche a loro. Lo scopo della maxi operazione di polizia era, anzitutto, restituire ai legittimi proprietari quello che, mutuando un’espressione francese, era considerato da tutti ormai un “territorio perduto della Repubblica”. Una zona franca che le forze dell’ordine, con un intervento massiccio e spettacolare, hanno, almeno temporaneamente, bonificato. Fino a quando?
Quello della droga è un problema immane, che non si risolve nello spazio di un pomeriggio. Si può intervenire sul lato dell’offerta, sequestrando i carichi in arrivo dalle zone di produzione, togliendo dalla circolazione qualche spacciatore, presidiando le zone dello spaccio e, al limite, emanando provvedimenti draconiani come quello di ieri. Rimane, però, la domanda, espressa da persone di ogni età che cercano e trovano nelle droghe rifugio, conforto, evasione.
Una legge economica ferrea che non sono stati gli ultimi arrivati a inventare o a imporre. I richiedenti asilo, certo, hanno reso più agevole ed immediato l’incrocio tra domanda ed offerta. Ma non illudiamoci: per uno spacciatore che va in galera, e un locale che chiude i battenti, se ne affacceranno di nuovi, magari in altri punti della città, lontano dai riflettori.
La droga è anzitutto una questione culturale. Ed è solo lavorando su questo piano che la si può contrastare o, se non altro, rintuzzare. I protagonisti di questa battaglia siamo tutti noi, nella qualità di genitori, educatori, amici. Sta a noi spiegare a chi ci sta vicino che la droga è una trasgressione che non procura vantaggi ma tanti guai. Che, insomma, non è la figata di cui tanto si parla, specie tra giovani, ma un flagello che, come ci ha insegnato la triste vicenda di Alice, può persino procurare la morte.
In via Roma, a pochi passi dal McDonald’s e dalla Kabul House oggi sigillati, c’è un bar che è stato risparmiato dalla furia redentrice della Questura. Sulla porta campeggia un adesivo con scritto “I love via Roma”. Un messaggio di speranza, per un quartiere che ha il compito, difficile, di combattere lo stigma della zona malfamata. Il Questore ieri ha dato il suo contributo. Regalategli quell’adesivo.