Cresce il dibattito sulla specialità sempre più nel mirino del centralismo romano. Ma se dovessimo perderla, che ne sarebbe di noi? A rispondere all’enigma c’è il nuovo libro scritto a quattro mani dall’economista Fulvio Mattioni e dal sociologo Bruno Tellia, ‘Caro modello Friuli’, che a un anno di distanza da ‘Cara autonomia’ riprende un’analisi del ‘fasìn di bessoi’ negli ultimi 50 anni non priva di chiaroscuri. Perché “abbiamo giustificato i primi 25 anni di autonomia dimostrando di fare di più e meglio degli altri – spiegano gli autori -, ma negli ultimi 25 invece è avvenuta una trasformazione culturale che ci ha fatti diventare come gli altri. E se non siamo più speciali, la pretesa di una tutela giuridica resta vuota chiacchiera. Inutile reclamare nuove competenze, se da tempo rinunciamo a priori a esercitare a dovere quelle che abbiamo”.
Riscossa identitaria
L’analisi dei due autori è impietosa e parla di “un’autonomia a due velocità: quella che negli Anni ’60 ha mosso nei friulani un vero sogno collettivo – ricorda Tellia – e quella che oggi si esprime in un immobilismo incapace di razionalizzare l’apparato pubblico e di frenare le perdite di un sistema colabrodo”.
La prima era una sfida coraggiosa, “che ha portato riscossa identitaria e riscatto sociale a sovrapporsi in un meccanismo che vedeva tutti coinvolti nella costruzione della propria casa, nella volontà di far crescere l’economia e sfuggire a un destino secolare di emigrazione”. E quando venne il terremoto, “si volle pure l’emancipazione culturale con l’Università, che doveva cementare quest’identità ritrovata e generare nuova classe dirigente”. “Puntammo su quel che sapevamo far meglio: industria, edilizia, anche turismo con l’esempio della crescita di Lignano”, ricorda Mattioni. Oggi su cosa potremmo puntare? Difficile rispondere, perché “oggi siamo diventati il modello del non-Friuli. Siamo schiavi di un pericoloso attendismo, dell’ansia di autotutela e della logica del rinvio: l’apparato, che fino agli Anni ’80 supportò la rinascita, oggi è casta autoreferenziale. E se negli anni d’oro abbiamo ideato la prima Finanziaria regionale, il primo Piano urbanistico regionale, il primo governo della Sanità, la prima Protezione Civile, oggi l’avanguardia dove sta?”.
Il punto di svolta fu la fine degli Anni ’80: “a ricostruzione completata, abbiamo smesso di sognare. Gli stessi strumenti che avevamo messo in piedi, da Mediocredito a Friulia, oggi sono in rosso. Realtà come Finest sono più utilizzate da veneti e trentini che dai nostri imprenditori”.
Nel frattempo la classe dirigente, decapitata da Tangentopoli, ha perso peso.
Dal ‘fasìn di bessoi’ al ‘no se pol’
“Si è passati – scherza Mattioni – dal friulano ‘fasìn di bessoi’ al triestino ‘no se pol’: ‘perché ce lo dice l’Europa, perché ce lo dice Roma …’. Così abbiamo finito per giustificare i pregiudizi altrui. Fino agli Anni ’80 eravamo quelli che avevano saputo rialzarsi dal sisma. Dopo la legge sulle aree di confine, siamo diventati quelli dell’autonomia col cappello in mano. Salvo poi essere fra le Regioni che riescono di meno a spendere i fondi Ue. Quindi autonomisti a parole, rinunciatari nei fatti: se non maldestri, poiché magari ci assumiamo competenze come la Sanità, che nel breve periodo riusciamo a sostenere, ma che poi esplodono, costandoci un miliardo in più in quello stesso decennio in cui passiamo dal primo all’ottavo posto in qualità tra i sistemi sanitari regionali italiani”.
Nessuna idea all’orizzonte
Siamo persino spocchiosi: “Ospiti di gente unica – chiude Tellia – rilevava l’idea di un Friuli autoreferenziale, che pensava di autorappresentarsi perfino in politica estera, mentre perdeva le banche, le aziende, le idee”. Per questo Mattioni invita a “ritrovare concretezza: finalmente ora si ragiona di nuovo di politica industriale anche se, in difetto di un sistema finanziario l’esercizio di una vera autonomia è difficile. Catalani, baschi e scozzesi hanno alle spalle realtà diverse: qui le banche private non ci sono, le pubbliche sono in rosso”. Per dare speranza ai nostri giovani servono nuove idee, che per il momento non si vedono all’orizzonte dove per ora campeggia solo un futuro nebuloso. Infine, sui temi dell’autonomia “nulla di concreto si dice rispetto a cosa si vorrebbe realizzare. Avevamo deciso di fare da soli la terza corsia, che nemmeno ci serve, pur di giustificare la nostra specialità: invece, servirebbe sfrondare la selva di partecipate che ormai non sono più utili in chiave di sviluppo”.