Sin dopo la fine della Seconda guerra mondiale, di fatto, l’Italia ha mantenuto l’articolazione amministrativa ‘alla francese’ basata sulle Province (una novantina) e i Comuni (oltre ottomila). Le Province furono identificate e dimensionate in base alle esigenze di collocamento sul territorio di uffici e funzioni dello Stato e solo parzialmente sulla base delle comunanze storiche e culturali delle comunità ricomprese. Secondo l’impostazione ‘franco-napoleonica’ furono enti incentrati sui rispettivi capoluoghi sin dalla denominazione, ignorando del tutto le identità e le denominazioni radicate dei territori.
Ecco due semplici esempi: Provincia di Udine e non del Friuli (se non per un breve periodo tra le due guerre) e Provincia di Belluno e non del Cadore. Con la Costituzione repubblicana del 1948 furono istituite le Regioni. E, come spesso avviene in Italia, si introdussero i nuovi enti senza sopprimere i precedenti. O almeno raccordarli, distinguendo nettamente le funzioni svolte dall’uno e dall’altro. Pertanto sino al 2014 (ovvero sino all’entrata in vigore della riforma “Delrio” con la Legge 56) vigeva una ripartizione amministrativa basata sui Comuni (scesi di recente sotto gli ottomila), le Province (salite sino a 107) e, appunto, le Regioni 20 (ufficialmente) di cui 5 a Statuto speciale (ufficialmente) e 15 ordinarie. Questa articolazione radicata (seppure non sempre condivisa) mette in evidenza all’inizio del ventunesimo secolo che in media ogni Comune italiano conta 7.509 abitanti, ogni Provincia oltre 552mila (in 405 Comuni) e ogni Regione quasi 2,9 milioni (in 5,5 Province). Di fatto (bisogna prenderne atto) in Italia ci sono 21 enti legislativi di secondo livello, 19 denominati Regioni e 2 denominati Province: Trento e Bolzano che legiferano e amministrano indipendentemente l’una dall’altra, nel mentre la regione Trentino – Alto Adige/Südtirol sopravvive solo nominalmente.
Per lo stesso motivo ci sono sei enti autonomi di primo livello, 4 regioni (tra cui il Friuli Venezia Giulia) e le 2 Province autonome. La richiamata legge Delrio ha introdotto dal 2014 le Città metropolitane, le Unioni di Comuni volontarie e avrebbe dovuto sopprimere le Province. Con il referendum del dicembre 2016 gli italiani non confermarono la legge costituzionale ‘BoschiRenzi’ e pertanto le Province non sono state soppresse e sopravvivono come enti di secondo livello e funzioni limitate. Nel mentre la riforma ‘Panontin’ ha effettivamente soppresso le Province del Friuli-Venezia Giulia. Pertanto allo stato attuale (inizio 2020) è operativa la seguente ripartizione amministrativa: 15 Regioni a statuto ordinario e 5 (in pratica 6 come abbiamo visto) a Statuto speciale tra cui la nostra; 14 Città metropolitane (i principali centri urbani con il territorio delle rispettive ex Province); 93 Province; 550 (numero in costante evoluzione) Unioni di Comuni, presenti però soltanto in alcune Regioni; 7.904 Comuni. Come è evidente si tratta di una situazione molto farraginosa strutturata su troppi livelli. E alla lunga insostenibile e in antitesi rispetto alle tendenze in atto in tutta Europa, come questa inchiesta andrà a indagare nelle prossime settimane.
Eredità francese che schiaccia le identità
In Italia l’impostazione di base è ancora quella ‘importata’ da Napoleone. Nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi decenni, l’architettura istituzionale è stata ulteriormente ingarbugliata
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