Il governo sta passando una fase di debolezza e anche gli arresti in casa Pd non aiutano. Ma il premier–segretario, Matteo Renzi, ha tenuto alta la sfida. Consapevole che si gioca molto, molto ha messo sul piatto. Più che un referendum, a ottobre si rischia di votare una scommessa: Matteo si o Matteo no. Due i possibili scenari: la riforma passa e il governo veleggia a gonfie vele fino al 2018, oppure la riforma è bocciata, Renzi si dimette e si apre la strada alle elezioni anticipate o a un nuovo presidente del Consiglio incaricato dal capo dello Stato.
Nella prima ipotesi, Renzi si sentirà più forte e si potrà togliere molti sassolini dalla scarpa. E le tante rese dei conti in casa Pd, paradossalmente, potrebbero portare Renzi a considerare una nuova compagine di governo, magari semplificando il quadro politico dando il via al ‘Partito della Nazione’ senza passare per il voto, invocando lo stato dell’economia in ripresa e via dicendo. In questo caso, Mattarella potrebbe assecondarlo e fare da ‘levatrice’ al nuovo corso, mettendo il timbro sulla transizione con la nascita di un partito con forti connotati liberaldemocratici. In caso di bocciatura, però, non è detto che si vada alle urne: il presidente della Repubblica, invocando la stabilità e la coesione del Paese, potrebbe incaricare un nuovo capo dell’esecutivo, magari scegliendolo in qualche istituzione di garanzia, come la Corte costituzionale, così da dare il via a nuove norme di convivenza tra politica e magistratura che possano guidare una nuova stagione di riforme e completare l’accentramento dei poteri dello Stato.
C’è, però, la possibilità di andare al voto qualunque sia l’esito referendario. Se vinceranno i ‘sì’, entrerà i gioco la legge elettorale che rischia di dare a un solo partito l’egemonia sulle istituzioni e a un solo leader il comando sull’intero Paese. Il tutto senza contrappesi. In caso contrario, servirà una nuova legge elettorale così da evitare la catalessi istituzionale.
A 5 mesi dalla consultazione, la situazione è la seguente: le opposizioni trasformeranno il referendum in un voto pro o contro Renzi, facendo il gioco dello stesso presidente-segretario che, cercando una via di uscita dal guazzabuglio delle riforme e dalla fronda interna al partito, vincerà anche perdendo. Se prevarranno i ‘no’, Renzi cercherà di andare alle urne con un Pd più moderato e con nuovi alleati, timorosi di sparire tra i flutti del voto. Altrimenti si voterà nel 2018 e la vittoria sarà tutta da costruire.
Intanto, il centrodestra è in travaglio per la leadership, il Pd è in piena lotta interna e il M5S è in transizione dopo la scomparsa del guru Casaleggio. Insomma, la situazione non è tranquilla, specialmente con lo spettro del ’92 dietro l’angolo. I poteri legislativo, esecutivo e giudiziario non trovano ancora gli equilibri necessari e in giro non sembrano più esserci statisti di lignaggio. Una cosa è chiara: la transizione italiana non è ancora finita. Prima o poi, ci dobbiamo rialzare e ripartire. Non c’è scorciatoia.