Marco Cucchini, in occasione del referendum costituzionale, si è schierato decisamente per il ‘no’, nonostante facesse parte della direzione regionale del Partito democratico. Abbiamo chiesto al politologo friulano quale sia il suo punto di vista sulle questioni che toccano l’autonomia del Fvg.
Partiamo dai collegi elettorali dell’Italicum. Quali sono le sue obiezioni?
“Sono stati creati due macro collegi che impongono una campagna elettorale in aree eterogenee e che determinano l’impossibilità per l’eletto di rappresentare un territorio uniforme. Per esempio, il Distretto della sedia è spaccato in due: Buttrio fa parte di un collegio e Manzano dell’altro. Il rappresentante portavoce del territorio non è contemplato”.
Le richieste di modifica dell’Assemblea della Comunità linguistica friulana sono giuste?
“Da una parte c’è la legge 482 del ’99, che va rispettata, dall’altra lo stesso Italicum che, essendo mal scritto, è vago sul tema. Quest’ultimo parte dal presupposto non esplicito che le minoranze da tutelare siano solo quelle tedesche e francofone, cosa che ha portato a optare per i collegi uninominali in Valle d’Aosta e in Trentino Alto Adige. La situazione del Fvg è stata ignorata e non è stata adottata la medesima soluzione, che ritengo essere la più saggia. Va detto, però, che al momento della discussione, nessun parlamentare eletto in Fvg ha sollevato la questione. Il problema della rappresentanza territoriale, comunque, riguarda anche la legge elettorale regionale”.
Ovvero?
“La legge attuale, che si basa sui vecchi mandamenti dei tribunali (i 4 provinciali più Tolmezzo), non tiene conto delle Uti. Se queste sono il nuovo livello di rappresentanza ottimale, allora la rappresentanza andrebbe ridefinita di conseguenza. Solo così le Unioni si collegano alla democrazia rappresentativa, altrimenti risultano essere un oggetto tecnocratico e burocratico”.
Tanti sindaci chiedono l’eliminazione dell’incandidabilità dei primi cittadini dei Comuni con più di 3mila abitanti. Che ne pensa?
“Hanno ragione. E’ giusto non fare due mestieri, ma è altrettanto giusto che a scegliere siano gli elettori. Questa norma è una forma di autotutela del Consiglio di allora, che la scrisse per tenere fuori dai giochi altri politici con voti e seguito”.
Cosa pensa delle Uti e dei problemi che incontrano tanti sindaci, a partire da quelli di personale?
“Non ho approfondito l’argomento ed è presto per dare un giudizio. La mia impressione è che si sia in balia degli eventi e che si tratti di una riforma senza passione, una cosa fredda. E’ stato dimenticato l’aspetto identitario, lo stesso che ha fatto fallire le fusioni tra Comuni, fermandosi ai calcoli economici, da burocrati. Infine, la riforma è stata spiegata male”.
Lo Statuto del Fvg va riscritto?
“Non vedo tutta questa necessità. Tuttavia, si dovrebbe intervenire sulla forma di governo. Bisognerebbe rivitalizzare il ruolo dell’assemblea regionale e immaginare soluzioni che portino a un dialogo tra Consiglio e Giunta, senza togliere l’elezione diretta del presidente. Oggi il Consiglio è succube dell’esecutivo e non va bene”.
Debora Serracchiani ha chiesto la competenza sulla scuola. E’ d’accordo?
“Con la Costituzione vigente gli spazi già ci sarebbero. Ma tirare fuori il tema a febbraio 2017, con le incognite sulla durata della legislatura e del governo e con l’amministrazione regionale in scadenza è solo una sparata elettorale. Non ci sono modi e tempi per ottenere tale competenza. Sul merito, credo che non sarebbe opportuno. La scuola forma i cittadini e dovrebbe avere un ruolo di consolidamento dell’identità del Paese. Ci possono essere alcuni aspetti sui quali la Regione potrebbe avere voce in capitolo, ma non su quelli centrali”.
Cosa pensa dell’autonomismo?
“L’autonomismo è di due tipi. Il primo è etnico, che si richiama a ‘sangue e suolo’, un micro nazionalismo un po’ ridicolo. Il secondo guarda all’esperienza autonomista per governare meglio il territorio. Dobbiamo capire se vogliamo un autonomismo svizzero o uno kosovaro. Il problema è difendere l’identità, non imporla”.
Tanti guardano al Trentino Alto Adige come a un modello. Ritirnr che sia il riferimento giusto?
“Mi piacerebbe uno Stato in cui a un forte momento di unità corrisponde un forte decentramento in periferia, stabilendo competenze chiare e risorse economiche. La riforma costituzionale bocciata a dicembre era centralista, dimenticando 20 anni di dibattito istituzionale. Perché prima tutte le forze erano federaliste e ora non lo è più nessuno? Il punto è che si parla a casaccio, ci si innamora delle formule e si cambia idea senza riflettere. Ciò nasconde l’impreparazione di una classe politica che non studia, non riflette e parla tanto. Oggi tutti prendono a modello qualche politico straniero (Trump, Corbyn, Macron, Podemos, Tsipras), nessuno riflette sulle peculiarità della situazione italiana”.
C’è qualche esperienza straniera che prenderebbe a riferimento?
“La legge elettorale tedesca, che tiene assieme i collegi uninominali, un riparto proporzionale e uno sbarramento adeguato. In questo caso, si potrebbe tradurre e copiare”.