“Abbiamo appreso dalla stampa locale che alcuni piccoli comuni della nostra regione potrebbero venire classificati zone rosse”, scrive Emanuele Zanon, consigliere regionale di Progetto Fvg.
“Si premette che assumere un atteggiamento prudenziale e in certi casi rigoroso, per circoscrivere i focolai al fine di contenere l’aumento dei contagi è doveroso quanto condivisibile. Entrando però nel merito dell’ipotizzato provvedimento si intende esprimere alcune considerazioni. Anzitutto, sentiti alcuni amministratori dei comuni indicati come maggiormente esposti, si è appurato che questi hanno accolto la notizia del possibile passaggio da zona arancione a zona rossa esclusivamente dagli organi di stampa e non da quelli istituzionali preposti. Questo è un evidente sintomo di scollamento tra organi decisionali regionali e i sindaci, tenuto conto, peraltro, che questi ultimi sono i responsabili in materia di igiene e sanità pubblica dei loro comuni”.
“Per quanto riguarda il criterio prescelto dagli esperti regionali per individuare i comuni maggiormente a rischio, pare si sia assunto esclusivamente il rapporto tra i casi positivi e la popolazione residente. Si ritiene che tale unico parametro sia riduttivo e a volte fuorviante. Ci sono paesi, come ad esempio Cavasso Nuovo, nel cui territorio ricade una casa di riposo per anziani o, come Tolmezzo, in cui vi è anche il carcere, in cui i casi di contagi – anche se fortunatamente quasi sempre asintomatici – sono effettivamente più elevati. Si tratta però di strutture chiuse, protette, completamente indipendenti rispetto al resto del paese e quindi non correlate con la popolazione residente”.
“Anche il personale che vi opera, nella maggior parte dei casi non risiede nel comune in cui vi è la struttura. Pertanto, se si scorporano dalla sommatoria i numeri dei contagiati presenti all’interno di queste strutture chiuse e protette, questi comuni presenterebbero casi di positività nella popolazione addirittura inferiori alla media di altri paesi. Si dovrebbe oltretutto contestualizzare la casistica, tenendo conto della densità abitativa dei territori e delle possibili occasioni di contaminazione che si potrebbero venire a creare”, prosegue Zanon.
“Com’è noto, nei piccoli comuni montani, come quasi tutti quelli indicati dalle prime ufficiose informazioni, non vi sono condomini, centri storici, centri direzionali, autobus di linea urbana, luoghi di aggregazione o di particolare flusso di persone, grandi negozi o mercati; anzi, spesso, il loro tessuto abitativo è costituito da frazioni e borghi, immersi in ampie zone poco frequentate, verdi o boschive. Peraltro, tenuto conto che la trasmissione del virus non si ferma al confine amministrativo tra un comune ed un altro, porre la zona rossa in un paese, ove non vi sia soluzione di continuità tra il proprio abitato e quello confinante che rimarrebbe zona arancione, non trova una spiegazione razionale”.
“Non si comprende, quindi, quali siano i motivi, suffragati da analisi oggettive, che inducano ad assumere tale scelta. Tali considerazioni non vogliono essere un’opposizione a prescindere all’istituzione della zona rossa, ma si rende necessario conoscere le reali ragioni che stanno alla base di tale opzione. Oltre a ciò, è soprattutto indispensabile adottare dei provvedimenti effettivamente efficaci per ridurre i contagi complessivi della nostra regione affinché non divenga tutta zona rossa. In Alto Adige, ad esempio, si è optato per i test di massa, atto propedeutico a una completa mappatura e tracciatura dei contagi. La preoccupazione è che pur bloccando i piccoli paesi di montagna, già marginalizzati, i contagi possano comunque proseguire nelle altre zone, specialmente quelle urbane, più popolose, in cui le attività e le occasioni di incontro tra le persone sono molto più assidue e numerose”, conclude Zanon.