La forma di governo scelta dalla Costituzione, elaborata dall’Assemblea costituente dopo il referendum del 2 giugno 1946 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è quella della Repubblica parlamentare. In parole povere, la gestione del potere sovrano è affidata, nel nostro Paese, al raccordo tra l’organo posto al vertice del potere esecutivo, il Governo, e l’organo detentore del potere legislativo, il Parlamento. Detto diversamente, ma la sostanza non muta, il Governo può agire (per amministrare e per determinare la politica generale interna ed estera dell’Italia) solo se, quando e fino a quando gode della fiducia della maggioranza parlamentare. Da che è ‘esplosa’ la crisi legata al virus Covid-19 abbiamo assistito a qualcosa che non ha precedenti nella vita dell’Italia repubblicana. Salvo brevi e sporadiche apparizioni, non solo è ‘sparito’ il Parlamento, ma è scomparso anche il Governo, se inteso come organo collegiale, composto da Presidente del Consiglio e singoli ministri. A presidiare l’intera ‘casa comune’ e a sostenere l’intera emergenza sembra essere rimasto il solo Presidente del Consiglio.
UN POSTO NELLA STORIA – Ora è iniziata anche la Fase 2, cioè quella che, considerato chiuso il periodo acuto della crisi, dovrebbe traghettare il Paese verso una (temo lontana) ripresa della normalità. Ci riabitueremo quindi presto a vedere in televisione singoli ministri, capi di partito, sindacalisti, nonché le aule, più o meno affollate, di Camera e Senato e, magari, questo o quel procuratore della Repubblica o della Corte dei conti che avrà certo qualcosa da dire su come l’emergenza è stata affrontata dal medico X, o dalla struttura sanitaria Y, o dal politico Z. La gente dimentica in fretta, ma, da studioso della Costituzione, posso affermare che il periodo che va dal 23 febbraio ad (almeno) il 26 aprile 2020 passerà alla storia del Diritto costituzionale italiano.
A tutti sono stati negati, sottratti, limitati diritti e libertà fondamentali direttamente garantiti dalla Costituzione. Dal diritto di circolare nel territorio nazionale, a quello di esercitare il proprio credo religioso; dal diritto di godere appieno delle proprie proprietà private, a quello di liberamente esercitare l’iniziativa economica privata; dal diritto di riunirsi, a quello di insegnare, a quello di essere istruiti, a quello di lavorare… Non ho le competenze per dire se le misure adottate per far fronte alla pandemia siano state giuste o sbagliate, sufficienti o no, tempestive o meno, né, quindi, mi sono mai pronunciato su punto.
REITERATE VIOLAZIONI – Quel che ho sin da subito pensato, però, è che il modo di procedere del Presidente del Consiglio non sia stato conforme alla Costituzione. È vero che quest’ultima nulla prevede per casi emergenziali del tipo di quello che abbiamo attraversato, stabilendo un’unica scarna regoletta per eventi di carattere bellico; ma è anche vero che appare evidente come diritti fondamentali non possano essere compressi mediante atti amministrativi, quali sono tutti i decreti del Presidente del Consiglio emanati nel periodo considerato. Né a consentirgli di agire così può essere sufficiente – come si è fatto – una generica autorizzazione ‘in bianco’ data al Presidente mediante decreto-legge, cioè tramite un atto del Governo dotato della stessa forza della legge. Perché l’articolo 77 della Costituzione pretende che quest’ultimo venga adoperato in via diretta (e non per delegare altri) per coprire “casi straordinari di necessità e di urgenza”, cioè a dire per “contenere misure di immediata (non di futura) applicazione”, con un “contenuto specifico, omogeneo”, come stabilito, ma solo per spiegare ciò che è già previsto a livello costituzionale, nell’articolo 15, comma 3, della legge 400/1988.
Ludovico A. Mazzarolli, Ordinario di Diritto costituzionale Dipartimento di Scienze giuridiche Università di Udine