Se non ci fosse il Trentino Alto Adige, bisognerebbe inventarlo. Almeno per noi friulani e giuliani. Nel dibattito sulla specialità regionale, infatti, le due Province autonome, sono sovente prese a modello sotto diversi punti di vista: dall’architetturae articolazione istituzionale alla competenza primaria sulla scuola – richiesta nelle settimanescorse dalla stessa governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani -, dal Consorzio dei Comuni Trentini (sulla scorta del quale l’Anci Fvg vorrebbe trasformarsi) ai collegi uninominali per l’elezione della Camera per garantire la rappresentanza alle minoranze linguistiche. Sull’argomento abbiamo sentito il presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, al quale abbiamo chiesto cosa, della loro esperienza, possa essere replicato nella nostra Regione.
Il Trentino Alto Adige è stato preso a modello principalmente per le Province autonome. Molti qui in Fvg propongono una Provincia autonoma del Friuli da una parte e la Città metropolitana di Trieste dall’altra. Crede che la vostra situazione possa essere replicata in Fvg?
“Ogni comunità ha la propria storia e le proprie peculiarità. L’assetto istituzionale della nostra ‘specialità’ scaturisce dall’accordo De Gasperi-Gruber del 1946, che pose le basi giuridiche per lo sviluppo dell’autonomia del Trentino e del Sudtirolo. E’ stato un lungo e faticoso percorso che ha portato all’attuale assetto tripolare, e che, francamente, non credo possa essere replicato su altri territori. Basti pensare che dopo la riforma statutaria del 1972 sono state approvate ben 146 norme di attuazione che hanno ampliato le nostre competenze e realizzato un reale ed efficace sistema di autogoverno. L’Autonomia non è solo un’insieme di regole, ma l’espressione di una comune identità, ovvero di un elemento costitutivo e specifico di questa terra e della sua popolazione”.
In Friuli Venezia Giulia tanti chiedono che i collegi elettorali per l’Italicum, ovvero per l’elezione della Camera, siano trasformati in uninominali sulla scorta della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige per garantire la rappresentanza delle minoranze. A suo avviso tale soluzione è la via giusta per garantire effettivamente le minoranze?
“La previsione di un sistema elettorale specifico per la Valle d’Aosta e per il Trentino Alto Adige/Südtirol non deriva certo dalla volontà di distinguersi artificiosamente dal resto della comunità nazionale, ma dalla necessità di dare piena attuazione al diritto delle minoranze linguistiche, riconosciuto dalla Costituzione, di poter trovare adeguata rappresentanza politica non solo nelle assemblee locali, ma anche nel parlamento nazionale. Troverei quindi corretto che un analogo sistema elettorale venisse adottato in una regione come il Fvg, dove sono presenti e riconosciute dallo Stato italiano alcune minoranze linguistiche storiche”.
L’Anci Fvg vorrebbe trasformarsi in una Casa delle Autonomie sulla scorta del Consorzio dei Comuni Trentini. Qual è il punto di forza di tale organizzazione e che tipo di peso ha il Consorzio nella vita politica della Provincia?
“Ha per noi un peso importantissimo. E’ stato istituto per assicurare la partecipazione degli enti locali alle scelte di carattere istituzionale e all’attività legislativa e amministrativa della Provincia autonoma di Trento. L’approvazione di alcune delibere o di alcuni regolamenti di attuazione delle leggi provinciali è spesso subordinata al parere di questo organismo, che garantisce una rappresentanza istituzionale, autonoma e unitaria agli enti locali. Grazie all’ottima collaborazione con il Consiglio delle autonomie abbiamo potuto rafforzare l’autonomia finanziaria dei Comuni, lavorando insieme per il bene dei cittadini. La Provincia autonoma è espressione dei territori e dei cittadini, che insieme devono, a mio avviso, partecipare responsabilmente alla gestione dell’Autonomia. Espressione importante di questo senso di responsabilità si è evidenziata nei processi di fusione fra Comuni. Pensate che nel 2009 i comuni erano 223, oggi sono 177 e diventeranno 166 nel 2020. Si tratta di un fenomeno, partito dal basso, che ha determinato un cambio di passo e di mentalità. L’obiettivo era superare la logica del campanile per attuare una visione strategica, condivisa e unitaria, che andasse nella direzione di un rafforzamento delle autonomie territoriali”.
Nella nostra regione è molto invidiata la competenza primaria che avete sulla scuola. Quali sono i risultati, specie delle scuole ladine?
“Noi consideriamo la competenza sulla scuola fondamentale per il futuro della nostra terra. In questa legislatura abbiamo investito enormemente sulla scuola, con un piano speciale, ‘Trentino trilingue’, finalizzato a migliorare le conoscenze linguistiche dei nostri ragazzi. Siamo impegnati a costruire una scuola che sia in presa diretta con il territorio e con il mondo del lavoro e delle imprese. L’obiettivo è offrire ai nostri giovani un ambiente che gli consenta di diventare cittadini consapevoli del proprio ruolo nella comunità, cittadini responsabili che conoscano il valore del mettersi in gioco in prima persona, ma anche cittadini che riescano a vincere la sfida della vita mettendosi al contempo in relazione con gli altri. Certamente, grazie alla nostra competenza, possiamo inoltre garantire alle minoranze linguistiche ladina, mochena e cimbra, che sono un patrimonio irrinunciabile dell’intera comunità provinciale, di poter preservare l’uso delle propria lingua e della propria cultura”.
Lei ha firmato la Carta di Udine in vista del referendum costituzionale. Quale ruolo hanno le specialità rispetto all’ordinamento italiano?
“Credo che la bocciatura della riforma costituzionale, dentro la quale si confermava l’approccio di tipo pattizio fra lo Stato e le Autonomie, sia stata davvero un’occasione sprecata per consentire all’Italia di fare un passo avanti, verso un’architettura istituzionale più moderna e in grado di rispondere in maniera più efficace alle difficili sfide che abbiamo di fronte. Le Autonomie speciali, lo abbiamo ribadito anche nella Carta di Udine, sono un modello di regionalismo virtuoso, un’esperienza di autogoverno consolidata e innovativa che è a disposizione del Paese. Noi, come altri territori a statuto speciale, ci sentiamo parte dello Stato italiano e non ci siamo mai tirati indietro quando si è trattato di partecipare al risanamento della finanza statale. Oggi credo si stia delineando un autonomismo di tipo nuovo, lo definirei a vocazione responsabile. L’Autonomia è la condizione per rendere più responsabile e compatto il territorio, per fare in modo che l’insieme delle sue risorse e dei suoi talenti si muova in maniera coerente, auto-rafforzandosi proprio nella comune appartenenza territoriale e perché quel territorio possa dare un contributo al senso di futuro della Repubblica”.