Le primarie del Partito democratico, con il traino della manifestazione di Milano dove hanno sfilato tutte le componenti del variegato mondo della sinistra, hanno certamente risvegliato la voglia di ripartire a fare politica di un pezzo importante e determinante dell’opposizione. Un Pd che per ora sembra affidarsi più alla tattica che a una precisa strategia. Un Pd che sembra ancora cercare un vero leader e che lascia intravedere il sospetto di essere ancora ostaggio di una politica renziana.
Un Pd che non può accontentarsi di seguire il sindaco meneghino Giuseppe Sala e che, soprattutto, non può fermarsi a contrastare la politica sull’immigrazione del ‘capitano’ leghista e vice premier Matteo Salvini. Un Pd che, invece di demonizzare il ministro dell’Interno, dovrebbe elaborare una politica sul mercato del lavoro, sulla fiscalità per imprese e famiglie con vere proposte alternative con meno autoreferenzialità e più umiltà di ascolto con leader giovani. Insomma primarie tutto l’anno. Forse non basterà la ‘traversata nel deserto’, forse al Pd servirà una politica federativa più incisiva, con una personalità che sappia coinvolgere più attori sociali e soprattutto che non sia un Pd che viene dalla vecchia ditta.
Nicola Zingaretti, con la schiacciante vittoria ai gazebi, ne è consapevole e dovrà prima di tutto sciogliere il busillis di presidente di Regione Lazio e leader Pd. La fila ai seggi, comunque, per il Pd lascia ben sperare, con Proietti e Benigni come king maker e tanti altri protagonisti di spicco. Un successo. Qui in regione lo stesso, grandi l’affluenza e la partecipazione. Nelle file in attesa del voto molti cittadini hanno fatto un altro atto d’amore per una sinistra che pare risorgere. Ora, però, dicono “fuori i progetti veri”, la politica sull’immigrazione all’insegna di ‘siamo tutti stranieri’ non funzionerà, ci vuole ben altro. Dire che la sinistra è meglio degli altri pure. Una ricetta c’è: più militanza e meno élite.